Ricordi di una telegrafista – 5

Eccomi nel mio pied-à-terre… Cado esausta da tante emozioni… Sono stanca, stanca, snervata. Totillo sonnecchia, tentenna il beccuzzo.

— Su marmottella… non dormire ora che son qua io!… Ah sento scrosciare l’acqua fra i dirupi. Tutti i quadri si muovono, corrono, vengono verso di me! Il trofeo d’armi tintinna, le fiocine, i cangiari, le freccie danzano una ridda spaventevole, e si appuntano verso di me… verso il mio corpo, verso il mio cuore! Il teschio mi sogghigna, lo scarabeo viene, viene.., il ragno di Rob… muove le zampine… anch’egli corre, mi toccano.., aiuto… aiuto… Una corrente d’aria fredda mi è passata tra i capelli, apro gli occhi. Due vetri frantumati, tutto il resto è fermo al suo posto! Capisco tutto! Sono salva, perché Totillo, per istinto, smaniando di fuggire ha rotto i vetri! L’aria pura ha salvato entrambi! Piccolo, caro, Mignon, qui, vieni qui, a te un bacetto, un baciuzzo! Come tremi povero buono, come tremi!
— A te dell’etere. Oh noi l’abbiamo scampata bella!! Ho preso con me sul divano.., il mio  piùmato salvatore ed abbiamo detto tante dolci cose! tante affettuose parole, come due innamorati, piangendo delle piccole lagrime senza dolore. — Via tutti questi fiori maledetti! doppiamente maledetti!
Un fascio di erba fracida! Via, via! E li ho regalati tutti al n. 100. Un giorno di sole dopo la neve, un bel freddo col cielo azzurro, vale per me quanto un bel giorno di primavera — anzi, meglio! Mi piace maggiormente.
È più suggestivo, fantastico, poetico.

— Tutti quegli scheletri candidi, come in una fatata foresta di bianco alabastro, il piccolo crepitio del disgelo, i bei ghiaccioli iridati dal raggio del sole, esercitano su di me un potere ammaliatore. Mi toglie ogni idea buia, e cammino svelta con stivaloni di cuoio all’alpina, suole ferrate come un somarello, abito di panno grigio militare, grande feltro peloso e molle sui capelli, borsetta ad armacollo, accuratamente inguantata.
— A Porta d’A… incontro Matilde Bartoli: mi sorprende la sua ciera triste; ed ella ostentando la solita gaiezza chiede:

– E la festa? Splendori eh! Oggi hai marinato l’ufficio? E dove vai in questa tenuta d’alpinista, tra questa neve che ti gela il fiato?

— Ad un appuntamento? Oh questa è bella! Non temi i lupi? In montagna adesso, ma questo smorza ogni bollore! — prosegue Matilde.

— Vedi che ho ingegno, e tu? Che è quella ciera di can bastonato?

— Non scherzare, Marina; ho dei forti dispiaceri! Vorrei troncarla con… lui… oramai vorrei finirla — ed egli non vuole, non vuole! Perché alla sua maniera, mi ama! — Ed io invece l’abborro… da che… il mio cuore si sveglia…: sono una martire, Marina. Proprio, lo puoi credere! Ho venticinque anni, mi pare di averne cinquanta e d’essere sull’orlo della fossa! Per giunta — vedi, quale atroce ironia! Colui che amo mi venera come una santa — perché ho potuto far studiare mio fratello e le mie sorelle! Se sapesse, se sapesse come!

– Chi è, puoi dirlo, chi è costui?

— Un laureando come mio fratello, veniva da noi, mi guardava e taceva. Ora so che mi ama ed anch’io… ma non posso, non posso. Addio povera vita. Non mi sento d’ingannare quel poverino che ha fede in me, in me che sono una miserabile…

— Oh! no… povera Matilde, miserabile no…

– Sí, sí, sono una miserabile, ho avuto coraggio innanzi alla più atroce miseria, ma non ne ho più adesso, di fronte al mio cuore! La mia coscienza mi rimprovera. E tu?, va a casa, ritorna, almeno tu, non fare corbellerie — andiamo — ritorni?

Ho voluto proseguire.

Strada facendo pensavo a quella povera Matilde — piú disgraziata di me.
I miei piedi affondavano coraggiosamente nella neve…

Tutto quel bianco mi dava le vertigini — poi mi sono levati i guanti ed ho buttato palle di neve in un bersaglio improvvisato in un vecchio albero spaccato dal fulmine ed avvolto d’edera. Colgo nel punto dovuto con incredibile abilità, da provetta cacciatrice quale ero qualche anno fa. Mi comprerò un cane — un bel danese — poi il fucile e andremo a caccia — a snidare le allodole.
— Dopo piangerò sul cadavere fracassato dai pallini e la notte sognerò che quaglie, merli, tordi, pernici — furenti si vendicano a beccarmi gli occhi! E quando sono all’ufficio il cane farà compagnia a Totillo… diventeranno amici… Mi sono guardata nel piccolo specchio tascabile, — poi guardo all’orologio — bisogna andare più adagio altrimenti non mi faccio aspettare! Ed io voglio che egli mi attenda! S’arrabbi… si agiti…

Come, perché, siete venuto con due cavalli, Rob? — Sentite, Marina, trovo che star qui a gelarci è una pazzia, facciamo una trottata. Arriviamo al Castello — prendiamo il tè, discorreremo tranquilli. Vi giuro che sarò buono, se lo esigete… Non è più l’uomo, il maschio violento. t il fratello che chiama «sorella Chiara».
Però rispondo negativamente: Non vengo, Rob! Sento la voce di Matilde in fondo al cuore: non fare corbellerie, almeno tu… Ah non hai fiducia, non mi stimi, quale amarezza, quale amarezza mi dài. Il suo viso s’avvicina al mio, sento quel caro profumo di carne amata. Appoggio la mia testa sulla spalla del mio Rob, come in un rifugio. — La nebbia si alza grigio-azzurro, e ci avvolge — l’aria è diaccia — le nostre labbra si toccano… È quello il nostro bacio più delizioso, assaporo una sensazione squisita, stretti, fermi al famoso crocevia e mi pare di veder la vecchierella Assunta. «Pregherò per i vostri morti…»
Mi sento piena di bontà pel mondo intero. Siamo subito strappati alla nostra estasi! Ci fioccano intorno, sas
si, pietre, uno mi colpisce al petto… i cavalli nitriscono spaventati. Canaglie! — Sudicioni! — Cagna! — Vagabondi! — Carogne di signori! Svergognati!

– Noi fuggiamo al trotto serrato, malgrado la pessima strada, saltiamo un fossato tutto gelo… — A poco a poco le grida ed i fischi non li sentiamo più! — Stordita dall’imprevisto, esilarata, io mi do alla più pazza allegria, battendo le mani! — Ma chi sono, Rob? I selvaggi delle Kennedy? — Saranno contadini… — Tant’ira per cosí poco! Un bacio non è un delitto! — Tutt’altro. — Come sei bella cosí accesa! Seduta su Nora! Sembri un’americana che fugge nelle sterminate lande! Mi levo il feltro e lo sventolo. — Vittoria, vittoria e libertà! O Rob: never give up! — non vi lasciate mai abbattere! — Quando ti sposi la tua inglese? — Oh taci, taci — ti prego! sei cattiva! A me piglia una voglia pazza di schiaffeggiarlo, strap- pargli i capelli, tirargli calci e poi, dopo abbracciarlo con espansione. — Dolly fa un bell’affare! — Come lo dici!? Ed Henry che ti chiedeva? Andiamo al passo. — Tutt’intorno è melanconia. — Che ti diceva Henry? — Chiedeva se ero fidanzata. La mia voce suona secca e beffarda. — Perché dici che Dolly fa un bell’affare? Tu non mi ami, non mi sposeresti? — No, non ti sposerei, ora che so… Per Dio, e ti sei data a me?! Un uomo come te va bene per una volta e mezzo!
Che io ti ami non lo so — sei stato il mio trastullo.., questo è vero… M’interrompe brutalmente, mi stringe il polso da forsennato: Sei pazza davvero? Che linguaggio tieni… Quello delle tue.., che ti hanno rovinato! Ho sferzato il maschio, ho sferzato l’uomo, mi sono mostrata libertina e cinica — egli soffre, ha i lineamenti contratti da una smorfia di dolore… Rob, Rob — ho scherzato… baciami, baciami! — Dove vuoi spingermi, dove? oh piccolo caro demonio, che sei! Ci avvinghiamo pel collo in una stretta veemente, i cavalli nitriscono di piacere — anche loro sentendosi vicini… sono contenti… Ecco Villa Quiete con gli alti pioppi… Ancora campagna brulla e qualche passero affamato. Ah! ecco l’oratorio con la croce di ferro, la mia ex abitazione dei tempi felici! Poi il parco, il grande parco pieno di conifere. Pare che un ferro traversi il mio cuore! Il giardiniere ha imbacuccato con stuoie molti alberi, e le sirene dei cancelli e le naiadi delle vasche. Trovo una fisionomia grottesca che mi ritorna gioviale! — Giuseppe è un uomo di genio, nel suo genere! Un fauno è cosí ridicolo che debbo ridere. Un’Ebe fa compassione. Un Apollo ha il naso sbertucciato ed una sirena perde la coda! Abbiamo fatto un po’ di toilette. Rob ha indossato un’ampia vestaglia a fiorami, alla giapponese — roba del vecchio Conte. — Io, una vestaglia lilla pallido foderata di rosa, con grandi alamari dorati stretti da un ricco cordone di seta alla cintura e piccole babbucce ai piedi…
— E il codino, Rob?! Oh che vile giapponese tu sei? Dove hai messo il codino?

Ostriche, galantine, beccaccie, paté de foie; olive, mandarini, fichi d’India, frutti canditi, crema vanigliata sono sul nostro bel tavolo ovale, vicino alla caminiera.

— Stai bene qui? — chiede Rob.

Si è seduto ai miei piedi che riempie di confetti tra le dita che si dilatano come due ventaglietti viventi.

Poi nessuno ha più voglia di parlare — egli mi tiene la testa sulle ginocchia e ci guardiamo… Quegli occhi entrano in me, girano nelle mie vene, mi abbagliano tutto il sangue, mi penetrano nelle ossa.

Mi dibatto, mi dibatto, mi dibatto! Più debolmente, sempre più debolmente. Un filo, ancora un filo di capello… che sta per spezzarsi…

Allora Roberto si è buttato su me, affamato d’amore! Su me, affamata… più affamata d’amore! — I suoi baci mi contraggono tutta in uno spasimo di felicità. Pure supplico… non vorrei.., proprio non vorrei…

–  No Roberto, ti prego, no! Mi hai promesso…

Non so proseguire, non riconosco più la mia voce ed

egli.., egli piange! Ah Dio mio, qual pianto!

– Sono debole, perdona. Tu mi vedi a piangere, ti do l’esempio della mia debolezza, ma soffro, tu non sai quello che io soffro, Marina, non puoi capirlo…!

L’ho abbracciato più stretto… Ero vinta!

— Prendimi dunque, fa di me ciò che vuoi, senza riserva! — Ma tu pure, dammi tutta la tua anima, tutti i tuoi segreti! — Giurami Rob… sopra tua madre! Mi dirai tutto, anche il duello.

— E tu Marina, giura che mi perdonerai… una cosa… grave… molto…

Ho giurato sui miei genitori morti…

Il nostro amore, il nostro amore! Io sono più nulla! Io sono tutto! Una forza immane che ci trascina, che passa su noi, ci spezza e ci fonde. È una macchina potente; ci arrotola come due fogliuzze, ci unisce nelle più intime molecole. Gli atomi s’afferrano, il minimo pulviscolo s’abbranchia all’altro… Mi sento presa da mille tentacoli, da migliaia di tentacoli che entrano in ogni poro della mia pelle ed assorbono, mi assorbono, mi attraggono, m’avvincono…

— non ho più nulla di me. — Cado a capo fitto in un ingralore, felicità, dolore, dolore, ebbrezza divina. — La mia carne va a brandelli, sulle ruote sono tanti lembi della mia carne… Oh, spasimo, spasimo, dormo nei gorghi profondi del mare, nei meravigliosi abissi. — Cantano le sirene, fiori del mare… le mie conchiglie, le jantine rosse, ah una nube, vola, stringimi, Roberto. Ah sei tu? Roberto — di me — Marina tua? ah che delirio, che amore — i tuoi denti nella mia carne, strappala dunque, mordi, mangia, mangia la mia carne, divorami… è dolce? Nevvero? — Parlavo sconnessa priva di ragione.

Poi aprii gli occhi. Era li, Rob, che mi guardava nella mia estasi folle: mi aspirava colle narici dilatate, suggendomi ogni andito, imbevuto di me, saturo della donna amata, nuotante in un’ebbrezza più cocente ancora. Egli è stato mio, mio come nessun’altra donna potrà averlo mai…

– Sento che mi appartieni — qualunque cosa accada sono nel tuo sangue, sei nel mio — è vero che ci siamo amalgamati? Ormai non c’è pii Roberto e Marina, c’è una fusione d’entrambi, dalla quale vivi, dalla quale vivo.., e ci amiamo…

– Mia adorata, mia adorata! Quanto sei bella, che bella carne, peccato tenerla coperta!

— Oh oh! Rob, biricchino!… che discorsi son questi?! — Scherzo e lo minaccio col dito.

Egli ride. Beviamo una coppa di vino pallido, ambrato, ove sembrano sciolte delle perle, vino centenario, complice dei nostri ardori… Mangio un’ostrica, un’altra ostrica. Si ricomincia il lunch, presi da un appetito… compensatore!

Ho il capo sopra un cuscino di raso scuro ricamato ad arabeschi metallici — tutti i miei capelli ammucchiati sul tappeto come un cumulo d’oro. — Il dorso un po’ denudato… un braccio, una spalla scoperta.

La mano di Rob carezza il mio dorso. Il turbine dei sensi è mitigato — ora è l’anima che vibra, coll’anima sorella.

— Parla, Rob, ora ti ascolto come sorellina — confessami tutto — ti assolvo in anticipo — ma che almeno sappia le gravi ragioni per le quali è necessario io ti perda per sempre. Assumo un’espressione tenera e casta. Mi copro, mi alzo, mi appoggio alla caminiera ricca di marmi e bronzi, pronta ad ascoltare. Rob è turbato, soffre.

Nel mio corpo ancora vibrante di voluttà, passa un’onda tetra — Roberto è tutto sconvolto. La sua angoscia è visibile… — Non temere, non temere — ti ho giurato silenzio e perdono! Su Rob, ti ascolto… parla piano qui sul mio orecchio…

Egli parla. Il mio cuore è profondamente colpito! … Egli parla, il mio cuore rabbrividisce, urla di terrore, di disperazione… Egli ha parlato, egli ha finito, ed io cado riversa, schiantata, col cuore squarciato dal fulmine mentre brillava il sole… — O vita mia, vita mia, mi sfuggi! Ho mille pugnali confitti nel petto, mille lancie lo fanno sanguinare! Tra la collera veemente un dolore sconfinato! Singhiozzo senza lagrime, urlo sommesso di belva cui hanno rapito i figli del proprio amore! … — Scostati, maledetto, scostati, assassino! … Ma che perdono?! Osi chiedere perdono?! Sei abietto, infame, vile! Ti disprezzo tanto, quanto ti ho amato…! Egli implora, implora — io non ascolto nulla, piú nulla! Sono inesorabile! — Potessi togliermi d’addosso le tue carezze o miserabile! Altro che perdonarti! Egli continua la sommessa preghiera, disfatto, accasciato, curvo… — Ragiona! Marina, non esagerare, via, tu non conosci la vita, infine…

Lo dirò a Miss Dolly e vedremo! Ha un sobbalzo e dice atrocemente: — Ti sei legata a me, non puoi parlare.., e poi chissà? Quello che accadde subito a Baldovina, può accadere anche a te. Allora capirai! Tornerai a me, mi compatirai! … capirai certe situazioni… Tosto provo altro dolore orribile! Ah se ciò avvenisse diventerei pazza! Non pensavo a… quella tremenda probabilità. Solo l’ipotesi mi agghiaccia e tortura. Come a Bal-dovina, possibile? Oh no, no! — Oh Dio non permetterà! — grido, disperata da quell’ipotesi… — Permette tutto! Miserabile che sei! Vedremo tra un mese! — Mi sfidava — ecco, ora, mi sfidava!

Sono fuggita nella notte. Invano il vecchio servitore voleva trattenermi — sono fuggita con una parola esecranda sul labbro ancora tiepido di voluttà… Ecco — attraverso la via bianca e deserta, corro ansante per quelle strade che mi videro bimba felice, corro… traballando come una ub-briaca, passo una fratta, corro pel viale delle conifere. La mia casa, la mia antica villetta dai bei grappoli di kudsu, è li — resa tetra, resa lugubre! Un oratorio coi grandi santi oscuri, croci e teschi sui candidi altari. Dove dormii piccina, dove mi baciavano ogni mattina il mio babbo e la mia mamma. Ecco là nel mezzo un grande san Francesco d’Assisi, sotto al quale tremola una piccola fiammella rossa… O voi, datemi pace, san Francesco, voi che siete venuto qui nella mia casa!

Sempre correndo raggiungo Villa Quiete — mi pare che un altro passo mi segua. Guardo e non vedo alcuno — scivolo, mi rialzo — fuggo ancora.., ho sempre alle spalle lo stesso ritmo cadenzato. Dio mio, che sarà, e non vedo nes-suno — sono quasi al famoso Crocevia dei Rossi — mi pare che i rami si muovano, lassú in alto. Sono i lupi? E se fossero ancora quei forsennati d’oggi — mi prendono! — Coraggio, o madre mia, sento correre qualcuno, saranno loro? ! … «Dalli, cagna, carogna di signori» — mi diranno così… Il mio cuore scoppia, non posso piú… aiuto, aiuto, aiuto! Muoio!

Barcollo, un altro passo, vacillo… tendo le braccia…

La riconobbi subito quella vecchierella che mi vegliava! Era l’Assunta. Io avevo la testa coperta di bende fredde. Un tavolo accanto era pieno di boccette con medicinali. Sotto al capo tanti cuscini, stavo in un piccolo letto bianco, in una camera tappezzata con atlanti geografici. La pioggia scrosciava sui vetri — un gatto pisolava sopra una sedia e l’Assunta filava canapa con la rocca alla cintola, il fuso nella destra. Da quanto tempo?

– Assunta?!

– Mi riconosce, mi riconosce! Celestina, signor dottore, signor dottore!, la signorina mi ha riconosciuta — ella gridò in fretta e con gioia.

Alla chiamata accorse una donna di mezza età — modesta e sorridente, poi un signore alto, magro, senza baffi come un americano, vestito da cacciatore.

– Come vi sentite? — disse questi mentre mi prendeva il polso, e mi guardava con dolcezza. Mi fece una piacevole impressione!

– Ma, signore, dove sono, perché? Scusate…

— Quietatevi, non è tempo di parlare ancora…

— Ditemi almeno dove sono! — Supplicai.

— In casa mia dal dottor Steno, medico condotto di San D. a pochi chilometri dalla città.

Poi mi cambiarono le bende gelate — mi diedero una cucchiaiata di roba amara, del brodo che pareva cattivo, cattivo, sapeva di metallo. Mi dissero di riposare di dormire. Chiusi gli occhi. Mi pareva che mi buttassero da un’altura, giù in una profonda valle, poi certi assassini non mi volevano lasciar passare ed io studiavo di fuggire per un pertugio stretto, stretto, dove stavano delle rane grossissime presso una polla d’acqua verdastra e sudicia. Quale fatica, quale stento, che lotta io sostenni! Poi riaprii gli occhi; la bianca camera, il bianco lettino, i medicinali — era tutto al posto come prima, ma non c’era nessuno. Scivolai dal letto, volevo muovermi, ma non potendo stare in piedi, sedetti sul letto. Il dottore mi sorprese cosí… debole, appoggiata al tavolino da notte col gomito destro. Mi ripose a letto sgridandomi dolcemente: — State calma, fra qualche giorno vi alzerete, — mi disse con bontà. — Sono malata? Siete stata molto malata. Io non sentivo alcun dolore, solamente mi pareva che la mia testa fosse vuota! Come sono qui? Non ricordo nulla… nulla! — Proprio nulla? Il Crocevia dei Rossi… Cercate nel vostro pensiero… — Ah sí, rammento; ecco mi ricordo. — Mi trovaste svenuta sulla neve? — Ecco che vi ricordate. Ritornavo dalla casa d’un ammalato grave cavalcando la mia giumenta, dall’alto sentiero mi sembrò di vedere una forma femminile fuggire. Temendo una disgrazia, la seguii, mi avvicinai alla strada carozzabile. Vi trovai fredda, come una morta; vi portai quassi, avete delirato per otto giorni! sempre gridando: assassino, assassino! Mi prendono! Canaglia di signori! — Vi ho curata: ora siete convalescente. Nella vostra borsa, si trovò un invito a voi diretto al Telegrafo. Era della Contessa Brighten, con ciò ho potuto mettervi in regola con l’una e l’altro. L’Assunta ci porta il latte ogni mattina: vi riconobbe per una signorina che fu gentile con lei e volle assistervi alternandosi con Celestina, la mia domestica. Eccovi edotta di tutto, non vi agitate, procurate stare calma. Questa è la camera di mio figlio Giorgino che è in collegio. Sono vedovo. Afferrai le mani del buon dottore e le tenni strette sul mio cuore che batteva forte forte, mentre grosse lagrime cadevano dai miei occhi mesti.

— Quanto vi devo, quanto vi devo, come mai potrò ringraziarvi?…

— No, no: non mi ringraziate; è il mio dovere, la mia missione.

Come la tavolozza d’un pittore, tanto varia di colore, furono le sensazioni che provai per qualche minuto. La grave malattia aveva mitigato ogni effervescenza di passione e di dolore e di sdegno. Mi sentivo insolitamente tranquilla, riconoscente, ammirata di trovare tanta bontà in un medico di campagna, semplice e sconosciuto. Mi commoveva la riconoscenza dell’Assunta, pensavo che sarebbe bello vivere in quella tranquilla casa bianca. Pareva un cottage inglese.

Dovevo confessare al buon dottore la mia… follia? Confidarmi a lui, sollevarmi il cuore? Esitai un momento, poi decisi di tacere a meno che le conseguenze… quelle che spera l’infame Roberto non mi costringessero… a parlare.

Rientro tremante nel mio pied-à-terre. Il mio povero Totillo… povero Totillo! Ah sei vivo, sei vivo? ! ! — Provo la dolcezza come a rivedere una persona cara. Gli faccio i bacetti — tanti tanti — ed egli si sbatacchia l’ali verde-azzurro, e sopratutto non chiamerai piú quello scellerato di Rob…

— Ro… ber… to…

— Silenzio!

Ma egli non mi intende, ed i tondi occhietti mi guardano affettuosamente stupidi! Mi ha rovesciato le scatole dei biscotti, la frutta sciroppata. Gli hanno buttato del pane! Forse è stato il povero Camicia-azzurra. Si è ricordato di questo suo amico. Povero bimbetto! t dunque vero che il bene che facciamo lo ritroviamo sempre? Come sono infelice! Il primo dolore era nulla in confronto di questo mio animo snervato, annichilito! Il misticismo mi riprende. Fuggire lontana, vivere in una grotta, vivere d’erbe e radici, per letto un sasso, per compagnia le piante, i fiori, gli uccelli, l’aria, il sole. Sentirmi infiammata come san Francesco, dall’amore divino.., se fossi capace di questo!… Ho aperto le mie finestre, e guardato il cielo. Lassù sembrano tutte rocce, coperte da veli bianchi, ed illuminate da un fascio di luce elettrica. I passeri della terrazza hanno fame e nell’orto pili nessuna gallina. Il freddo è intenso. Ho pulito, spolverato il mio nido, il mio astuccio, il mio grazioso pied-à-terre. Ho relegato in fondo ad un baule l’abito glauco della.., vergogna, con le perle ed il diadema… Ah valeva la pena d’insozzarmi… per brillare e conquistare un mascalzone! Di più, di più: un assassino! Per me, è un assassino! Non è la mia ignoranza della vita che ingigantisce le cose, oh no, oh no, oh no! Non voglio piú pensarvi! Non voglio più ricordarlo! Non voglio piú amarlo! Ecco tutto. Dall’heuchera cadono le foglie, le rose, sono intisichi-te, le felci si curvano, giallastre, anemiche… Cosí l’anima mia! Un sole pallido mi bacia la testa, come materna carezza. Baciami, baciami, pietoso sole, dammi la vita all’alma stanca! Come quel micio che un giorno vidi… Anch’io oggi, col viso triste, l’occhio velato, al sol mi scaldo e mi rinfranco…

— Ro… ber… to! — Taci, Totillo! Ma taci.., se no… ti metto a pensione da Nina! Quel nome mi fa sussultare! Nelle mie fibre sento un ruggito. t dentro al mio sangue, è nelle mie ossa! Miserabile, miserabile… l’infame! Io devo odiarlo, bisogna che io… ti odi! E il tuo matrimonio non si deve fare, non si farà! non si farà.., non trionferai…

Non parlerai, hai giurato… egli mi ricordava; è vero, è -o!

Dio mio, Dio mio… ho giurato sui miei genitori morti! 

Mi sono messa da me il bavaglio! Mi sono legata le mani ed i piedi! Come fare, come fare? Che l’assassino abbia toria? no, no, no! Dio aiutatemi e punitelo.

— Voi?! anche voi qui! Miss Marina, my dear, my dear! vi cerchiamo da tanti giorni. Siamo stati a Monte-carlo. La Contessa ci disse che eravate assente — siete pallida, pallida, più sottile! — Ofelia, Ofelia, candida come camelia… Sono gli inglesi, Miss Dolly e suo fratello che mi accolgono così festosamente, mentre ci incontriamo da B. — Io son lí per acquistare un tubetto di verde per acquarello, e gli inglesi per accomodare la loro Kodak. — Vi sequestriamo, verrete con noi all’Hotel, no, no. — Insistiamo, vi preghiamo. Sentite, dovete farci un favore di quelli che si fanno agli amici! Sappiamo che siete un Medium eccellente, noi siamo soci di tanti Club ove si fanno esperimenti medianici, ma come fate voi, lo sappiamo da Madame De Ferronis, non vedemmo mai. Su via, accontentateci, cara, venite… Dolly è tanto gentile da prendermi sottobraccio, mentre Sir Henry s’incarica dei nostri acquisti — ed io ammiro una volta di più la squisita affabilità e compitezza degli inglesi con le persone di ceto inferiore. Sono stordita dall’impreveduto incontro; dall’accoglienza entusiasta, dal correlativo pensiero di Roberto… Se parlassi… Se parlassi?! La tentazione mi sale alla gola; taccio impensierita: mi tremano le labbra… mi lascio trascinare da loro… — Venite, oh venite! Come siamo contenti… Siete buona… ah che piacere… — Vi occorre la luce rossa? — chiede Henry.

 — No, nulla.., solo un piattello di maiolica ed un alfabeto in circolo disegnato in un foglio di carta bianca… — t meraviglioso, sorprendente; ah se potessimo avervi a Londra! La carrozza corre traverso le vie rapidamente. Dolly, Henry narrano tante cose, ma io non ascolto — mi sento intorpidita, semi-accecata nel cervello… Sorrido appena. Sir Henry vuole incontrare i miei occhi ed io li evito — tanto è inutile. A che pro scaldargli la fantasia? Sono perduta ora — ho voluto lavorare alla mia distruzione, sono finita! Il pensiero di Matilde, il suo dolore di non poter più amare per non ingannare un uomo, serve anche a me. Meglio è che mi geli l’animo per sempre! E mentre Pascenseur ci trasporta in alto, entro le sue pareti di velluto rosso, io ho desiderato che il congegno meccanico si sfasciasse e che noi tre: Sir Henry, Dolly ed io, precipitati al basso col cranio fracassato, ci stringessimo in un macabro amplesso, ove s’aggrovigliassero come serpi i miei sentimenti d’astio e di dolore, quelli d’amore dell’ignara Dolly per Roberto, e quelli forse di desiderio di Sir Henry per il mio corpo… formando un’orribile miscela, come quella dei nostri corpi sfracellati. Ma Pascenseur, colle sue ali invisibili, ci ha portati alla porta del largo corridoio che guida all’appartamento dei signori De Liverstone — ci ha deposti delicatamente, senza scosse, come la coniglia che coi denti trasporta i suoi co-niglietti, e li depone in altro nido. I bauli dalle grosse borchie d’ottone — aperti — mostravano la ricca biancheria di Miss Dolly, i vestiti, i nécessares da viaggio, le tante piccole ricchezze da signori… Partite, Miss Dolly? Sir Henry?

Tra pochi giorni, come vi dissi, per il Christmas. Dobbiamo essere a Londra. Ho sentito al cuore una stretta…

Il foglio bianco, col circolo di lettere dell’alfabeto. Il piattello di maiolica bianca… tutto è pronto.

Sir Henry ad un angolo del tavolo affila la matita del suo notes… Miss Dolly mi guarda con raccoglimento, come se fosse innanzi alla Croce. Io appoggio la punta delle dita sul piattello collocato nel centro, ed aspettiamo. È una pausa silenziosa.., direi quasi… tetra ed impressionante… Poi un fremito mi passa per le braccia, per le mani, come fosse la scossa elettrica. Nell’anima del tavolo è come lo scoppio d’una rivoltella attutito dalla distanza: il piattello cammina da sé, in campo bianco — levo le mani: — Interrogatelo Miss Dolly, scrivete le risposte Sir Henry. Le mie mani si posano sul foglio bianco, in margine. Dolly è attonita. Sir Henry stupefatto — tacciono presi dall’emozione. Volete che il mio amico d’oltretomba vi tenga una conferenza o desiderate interrogarlo voi? — domando loro. Dolly arrossendo: — Se permettete, interrogo io; chi è lo spirito…? — Il dottor Valentini, almeno credo; aspettate… — Sei il mio amico dottor Valentini? Il piattello fila rapido sulla lettera S e poi sulla I. — Interrogatelo, Miss — è lui! Dolly domanda subito: — Valentini, vuoi dirmi se il Conte di Brighten mio fidanzato, mi ama? Risposta: Non ti amal… Io tremo, presa da un repentino timore… mi chino col- la bocca sul piattello e dico col pensiero: — Valentini ti scongiuro di non nominarmi! Dolly, colpita, con tristezza, turbatissima chiede an- cora: Allora dimmi, perché mi sposa, se non mi ama! — Perché il Conte di Brighten è rovinato… Una frana caduta alle spalle non ci avrebbe prodotto maggiore sgomento!

— Che dici?! Non è possibile! Ti prego, spiegati, ti supplico… Son io che detto le risposte, mentre Sir Henry scrive. Dolly confronta l’esattezza delle parole. Io che parlo, spinta a parlare, mio malgrado, costretta dire ciò che Va-lentini vuole dire. Soffro come se mi svenassero, le mie braccia non hanno piú vita; nel dorso mi passa un filo d’acciaio, le mie tempia sono chiuse in un cerchio di ferro gelido, i miei occhi sono dilatati… — Dolly, Dolly — non chiedete, cessate, levate il piattino, per carità. Cosi imploro, spaventata dalla probabilità di rivelazioni… Ma Dolly con voce rauca mi dice: — No, no, io voglio sapere. Vi prego! Valentini, racconta, racconta! perché Roberto di Brighten è rovinato?! — t una lugubre storia! — Sono preparata ad udirla. — Parla, parla subito! Noi sembriamo tre spettri, la nostra emozione è intensa. — Siate forti: or son otto mesi, Roberto di Brighten conobbe il capitano Eugenio di Mar… della R. Nave A… Il capitano, giuocatore e buontempone, rovinato dalla passione del giuoco e delle donne, per consolarsi dell’abbandono dell’amante, famosa ballerina, decise di prendere seco la propria figlia Baldovina che viveva da otto anni in convento. Egli promise a se stesso di fare vita di buon padre. Roberto conobbe anche Baldovina: bella ed innocente. Il capitano presto ripreso dal demonio del giuoco correva di bisca in bisca sempre sperando il «colpo di fortuna». Intanto Roberto affascinava la giovinetta con lettere traboccanti d’amore: ottenne appuntamenti. Alla notte, fuggivano in gondola a Murano. La colmava di promesse e d’illusioni, sin che Baldovina gli cadde nelle braccia. Poco dopo Ella ammalò, un dottore fu consultato, questi dichiarò alla governante esterrefatta che la fanciulla era madre. Allora fu concretato il delitto. Il capitano era assente. Il denaro corruppe il dottore, la governante, ed il delitto fu consumato. Una vita scompariva prima di sorgere.

Due giorni dopo il capitano, tornò improvvisamente. Non aveva alcun sospetto, ma lo spavento dell’infelice giovinetta, l’aria smarrita della governante, lo allarmarono. Nella febbre Baldovina parlò! Egli comprese tutto. Urlò come belva, usci a precipizio. Trovò il Conte di Brighten al Caffè degli Specchi. Egli era là con un’artista da caffè-concerto, Cilly Sicilienne, per la quale aveva già fatto pazzie. Il capitano gli si piantò davanti senza parlare, terribile nell’aspetto…

Roberto di Brighten comprese e si alzò in fretta…

I due uomini s’avviarono silenziosi come due ombre. Per contrasto: Era una notte bella. La gente allegra e chiassosa.

S’avviarono fra dedali solitari e giunsero ad un Campiello di sanguinose memorie. L’acqua tremolava piano, come volesse sentire le atroci cose…

— Conte di Brighten, voi siete il peggiore dei furfanti! Che punizione trovare per un miserabile pari vostro? Farvi degradare? Costringervi a sposare la mia creatura? Questo sarebbe troppo poco per voi! — Voi amate il denaro, che vi dà í vostri pazzi godimenti, ebbene vi prenderò per il denaro. Vi farete mio debitore per cinquecentomila lire. Però vi lascio una via di scampo. Noi ci batteremo. Se mi uccidete, il vostro debito è saldato. In quanto a me non voglio la vostra abbietta vita: mi limiterò a difendermi. Sono mite.

Cosí propose il capitano.

Il conte accettò.

Piú tardi avvenne il duello. Roberto gravemente ferito al braccio destro non poté proseguire.

L’indomani Baldovina era morta! Tre giorni dopo il capitano riceveva le cinquecentomila lire.

Il disgraziato padre, liquidò le sue passività, lasciò il superfluo ad un Istituto d’orfanelle, poscia baciato il ritratto della povera morta le disse: col tuo onore e la tua vita, hai salvato il mio — ed eccoti la vita mia. Si dicendo si uccise su quella tomba appena chiusa.

Quindici giorni dopo il Conte di Brighten ed altri ufficiali accompagnavano Cilly Sicilienne ad una gita di piacere. L’ammiraglio De Blondel, protettore della divetta doveva tornare a Londra per le manovre navali nel Mar del Nord. Erano gli ultimi giorni di baldoria… Rob provava un vero attaccamento per Cilly e la segui a Londra. Colà ad una soirée da Lord Claiford suo zio materno, incontrò Miss Dolly De Liverstone. Il resto voi lo sapete…

Io vedevo tutta nebbia rossa come vi fosse l’aurora boreale; innanzi ai miei occhi balzavano mille mostri ghignando; parlavo, parlavo.., costretta a parlare! Col petto oppresso da una dava che percuoteva con colpi insensati e m’ha squarciato il cuore, e poi il cervello. Come i buoi al macello, sono stramazzata, livida e senza respiro…

Quando ho ripreso i sensi, Dolly singhiozzava distesa sul divano, i suoi capelli erano incanutiti alle tempia, e Sir Henry guardava entrambe, con gli occhi buoni e compassionevoli. Il suo viso era di cera! Shocking! orrendo, orrendo, — egli mormorava: — Miss Marina, Miss Marina, once for all, ricordate che avete in noi una famiglia, non è vero mia povera Dolly, tu sei coraggiosa, ma questo è orribile, non è vero?! horrible… Con un fil di voce gli ho detto: Sir Henry, e se non fosse vero? No, my dear, è vero — tutto combina perfettamente. In fine.., andrò a Venezia, raccoglierò informazioni, ma sono sicuro che è verissimo. Ed ora? Scusatemi: che farete? Non vorrei che.., sapesse… che io… No, no — siate tranquilla; troverò la via di romperla garbatamente! Dolly mi faceva compassione! Pareva improvvisamente resa idiota: aveva una fisonomia d’ebete. Poi mi ha baciata bagnandomi delle sue lagrime, mi ha regalato un braccialetto d’oro con zaffiri.

— Dovete tenerlo per mio ricordo, non lo rifiutate, mi fareste male! Volete essere mia amica per sempre?

Io non sapevo la morte di Baldovina e di suo padre; quindi si tratta realmente di una rivelazione sopranaturaIe. Grazie, Valentini, d’avermi risparmiata! Cos, col capo chiuso tra le mani, curva, invecchiata nell’animo, ringrazio e rifletto, desolata d’aver amato, dato la mia vita ad un indegno assassino. Dio, non ha permesso il silenzio… ed ecco.

Una voce mi sussurra:

— Sei vendicata!

Un’altra:

— Dovrai espiare…!

Il cuore mi fa male, mi fa male! …

Una statuetta di Maria Vergine mi sorride…

— Salve, o Regina Madre di misericordia…

Il mio piccolo Rosario di madreperla, la filotea di nero ed oro di mia madre.., li riprendo.

Sono travolta, travolta, sarò travolta?! — Purché non avvenga ciò che l’infame spera!

Tutta la notte ho pianto, pregato… tremato di freddo e di angoscia. Invano avvolgevo i miei piedi nella lana, nelle sciarpe di seta. Le bottiglie calde, non mi scaldavano, non mi scaldavano perché il sangue era tutto al cuore ed al cervello.

Niente ti turbi,
niente ti sgomenti
Tutto passa…

A furia di leggere quelle parole… ho ritrovato un poco di calma, i miei nervi si sono distesi ed ho dormito.

— Te l’avevo detto: «non far corbellerie», — mi dice Matilde, — ti sei slogato un piede, cos í ho sentito a dire, sfido con quella neve!

Matilde è molto abbattuta, ma mi sorride gentilmente. Nina mi bacia senza interrogarmi. Tutte o quasi tutte hanno una parola benevola di «ben tornata». — È guarita? — Come va? Realmente è dimagrita!
— Si curi!

Abbiti riguardo! Cosi per un’oretta e poi ritorna la solita vita d’ufficio… Il caso ha voluto che io veda un telegramma di Sir Henry a Cilly Sicilienne. L’invita a venire a qualunque prezzo! Che farà, che vorrà combinare con quella… signora!? — Matilde mi si avvicina e dice con profonda tristezza: — Sto male, sai, molto male, ma sto qui perché tra il lavoro mi distraggo. — Sei pallida Matilde — si vede che soffri — ma non ti ammalerai davvero?! — Mi sento già morta! Nina invece è allegra, piena di speranze… Mariani sempre tormentata… Rina Darelli illusa e felice… Napiero sempre quaglietta… Pardovva sempre geniale… e tutti i piccoli e grandi intrighi filano perfettamente — il lavoro è febbrile, intenso. Siamo tutte occupate ininterrottamente. Si avvicina Natale. Chi va, chi non può andare, chi spedisce, chi ringrazia, chi attende. La festa dell’affetto, del sentimento, produce un surmenage opprimente nel nostro ufficio. Opprime lo spirito, come il corpo, quando non si hanno piú affetti. Nessuno è ad attendervi, nessuno che arrivi! È il mio primo Natale.., povero, a libero volo!

Ho sognato che ero a Londra in una giornata di nebbia grossa — non potevo camminare. In piazza Trafalgar i monelli, colle torce di resina rischiaravano la via.., poi due ladri mi hanno afferrata, derubata, trascinata sino al guai — mi hanno buttata nelle acque nere del Tamigi — ove mi sono dibattuta, nell’acqua viscida pei detriti delle fogne… Mi sono svegliata mentre un policeman mi salvava a stento.

Edvige mi ha inviato un cestino di frutti di mare.

La signora De Ferronis m’invita a fare San Stefano da lei, al tè danzante.

Sento il suono d’un armonium tedesco che ripete la solita patetica nenia — ho tanto fuoco nel caminetto, una conchiglia gigante da dipingere. — Indosso la vestaglia di panno celeste pallido con ghiandine di passamaneria nera e grossi cordoni. Calzo scarpine di panno nero con piccolo ricamo di miosotys — ho spuntate le mie treccione d’oro — d’oro colato. Sono sempre candida, bella.., bambola di Norimberga. Il mio viso nulla dimostra d’insolito…

Guarda la loiola delle braci roventi… L’armonium continua, soave…! Mi sento di nuovo affamata di carezze e di baci. La mia testa si rovescia sul guipure della poltrona… Soffro — piango… Amore! … amore! ? !

Ho suonato, o povera arpa mia, ora ti accarezzo, ora ti calpesto, ti lacero e di nuovo ti carezzo, ti bacio, ti posseggo…

Ho delle lettere di Roberto: le brucierò senza leggerle… Lo stomaco mi fa male, non ho piú desiderio di mangiare. Sono magra… Mi pare d’avere in tutta la mia carne tanti aghi d’acciaio… Come soffro, come soffro!

–  Vi importuno; mi discacciate?

– Ma no, Sir Henry, siete sempre il benvenuto

– Ah, voi siete gentile — ma che avete? Mi sembrate trasparente, avete l’aspetto d’un angelo — tutt’occhi e grandi ali!

– Allora vedete in me l’angelo del dolore, Sir Henry. Vi siete mai figurato innanzi al vostro pensiero l’angelo del dolore?

No Miss, veramente no. A me pare di vederlo — un angelo bello, di nero velato, con ali tese, sempre librate ove tiene ascose delle piccole stelle. Egli si aggira intorno perennemente e tutti tocca con la sua ala diafana, lieve e pur sí pesante! — Come vi esprimete, mi fate rabbrividire! E le stelle, che sono le stelle ascose? Sono gemme di cielo che l’angelo crea per ogni vivente, sempre che il dolore si accetti serenamente… Ciò che dite è bello, ma vorrei vedervi lieta e sorridente, my dear! Vi ha abbattuta la seduta spiritica, soffrite per altre ragioni.., ah è vero, sono indiscreto, ma voi dovete capirmi — mi perdonate? Faremo un’altra seduta! Cara, cara, cara, Miss Marina! Mai, mai più, Sir Henry — voglio ignorare, piuttosto ignorare che scoprire infamie, o cose che vi affliggono, non siete di questo parere? Egli si avvicina di più a me e dice con una certa timidezza piena di fascino: Allora.., ciò che avrei chiesto al vostro amico d’oltretomba lo chiederò a voi, se lo permettete… Dite, Sir Henry. Credo che la mia voce tremi… abbasso il capo… arros- sendo. — Potrete amarmi? Mi amerete? Rialzo il volto illuminato da una gioia intensa, poi ricado nella mia posa d’angelo sconsolato. Riflettevo alla triste ironia del mio destino! Non mi rispondete? Avreste dunque una risposta spiacevole? Parlate, Miss Marina. Allora lo avvolsi d’uno sguardo che parlava meglio della mia bocca… — Dunque, dunque, permettete che vi ami, almeno questo?! Mi donate due fili d’oro della vostra superba chioma? Oh le nostre duchesse pagherebbero milioni per avere capelli come i vostri!

Delicatamente, con forbicine d’argento, mi ha tagliato un lungo ricciolo e lo ha messo in un medaglione di vetro ed oro, ove stavano alcune violette diseccate.

–  Le conoscete?

Poi mi accarezza la mano ed il polso…

— Sentite come batte? Sir Henry, Henry?

— Troppo forte, ma ora sono contento che batta forte!

Mi sorrideva con bontà e dolcezza.

— Suonate qualche cosa per me?

Sentivamo l’armonium ripetere la sua nenia patetica, sempre la stessa…

– Non posso. Sir Henry — scusatemi.

– Chiamatemi solo Henry se volete essere gentile!

Qualche cosa mi spingeva verso di lui. Avrei desiderato sedermi sulle sue ginocchia, con la destra afferrargli il collo e riposar così… colla mia testa sulla sua… stretti in un amplesso innocente come quando ero piccina ed afferravo pel collo babbo, o mamma, o lo zio Germano: allora le mie braccine serravano come tenaglie ed i miei baci cadevano fitti ininterrotti. Baciavo senza respirare — affamata, affamata d’amore…

Per sottrarmi alla tentazione ho lasciato la mia testa abbandonata sulla poltrona con gli occhi chiusi… ho pensato alle mie follie. Ero indegna, ormai indegna del bacio di un uomo onesto.., e non ho potuto frenare il pianto che è scoppiato colla forza dell’onda selvaggia che s’infrange sulla roccia. Il mio petto pareva spezzarsi nell’urto violento… Allora Sir Henry, stravolto… ansante mi ha aperto le braccia ed io mi sono buttata là, su quel cuore di fanciullo innamorato — stringendolo con atto disperato, come fosse l’addio eterno ad un adorato morente — che non avrei riveduto mai più. I miei occhi si sono bruciati nel pianto e quelli di Sir Henry cerchiati di un petalo di fior di malva, intriso di sangue… mi facevano un effetto strano, come fugassero i miei più bassi istinti…

– Parliamo Henry, vi prego! Parlate — perdonatemi questo mio istante d’esaltazione. Discorrete — non potete?! Allora suonerò qualche cosa come era vostro desiderio —. Mi sono avvicinata alla mia arpa — al braccio mi scintillava il braccialetto di Dolly, al collo la mia crocetta, aveva un movimento che pareva di gaiezza. Dovevo scuotermi, distrarmi, altrimenti non so quale altra pazzia avrei potuto fare! Roberto mi sembrava di non averlo mai conosciuto; tutta la mia carne, già satura del suo sangue, si ritrovava candida ed immacolata! Suonavo non so che cosa… Vedevo Henry ebbro d’una tenerezza infinita. Non era il germe del bruto che io gli svegliavo. Era l’anima tersa e limpida, come ciel sereno dopo il bacio del vento. L’ultima nota è un sospiro che Henry accoglie nella sua gola.

Mi ha presa la mia destra ed infilato un anello nel dito medio, perché nell’anulare era troppo largo. Vi brillava uno zaffiro della stessa acqua del braccialetto.

— Appartenne a mia madre, Marina, — ve l’offro in suo nome, prendetelo dalle mani della mia adorata estinta… oh, non potete non accettarlo… Io spero darvi quella felicità a cui dovete aspirare per il vostro ingegno e la vostra bellezza. So delle vostre sventure domestiche ed ammiro il vostro desiderio di guadagnarvi la vita col lavoro, ma io voglio ricollocarvi sul vostro piedestallo. Non offendetevi se dovrò lottare con mio padre… avrete fiducia?

Che potevo rispondere?! È partito illuso e contento. — Io ho sentito nel cuore il rostro dell’avvoltoio. E ora debbo sperare che suo padre si opponga! Dirgli che non l’amavo? Ed era sulle sue ginocchia, che avrebbe supposto, Henry?! Che ero una disonesta, che ero una pazza?! Che io l’ami, non so nemmeno io. — Pare che intorno al mio viso si muova una girandola e tanti colori penetrino nelle mie cellule… mi producono un’infinità di sensazioni, discordi, cozzanti, turbinando vorticosamente, come i fuochi d’artificio che formano una gamma iridiscente; non posso piú discernere alcun colore! Poi mi sento sul piumino del cigno, poi sulle foglie vellutate di tante rose rosse sfogliate e vedove di corolla, poi la mia carne si è lacerata sopra una miriadi di spini! Un fluido magico percorre le mie vene. Mi rivolto smaniosa sul piumino di cigno, sul letto di rose e mi strappo la carne negli spini. Con piccole grida roche, di piacere e di dolore…! Caste, si baciano le tortore, ed i leopardi s’afferrano in amori deliranti: vedo il fosco colore giallo indanaiato di nero, il loro amplesso di fuoco, gli aneliti travagliati dall’acuto desiderio! … Le tortore? Io e Henry, i leopardi? Io e Rob prima… Ah vedo, vedo.., i lemuri! Gli spettri! Le larve! … Mi tormentano… C’è Baldovina, il capitano, e quell’esserino… distrutto come un misero uccellino ancora nel guscio… Tutti mi minacciano…, irritati…, e mi lanciano sprazzi e faville, che mi bruciano e mi afferrano la chioma, me la strappano, sbatacchiano… inferociti… senza pietà…

Ho messo il termometro, ho trentanove e mezzo di febbre! Mai, Henry, saprai perché ti respingerò, perché è detto che dovrò respingerti… senza svelartene mai la ragione! Ti sembrerò una incoerente, una squilibrata e… peggio ancora. Tu ne soffrirai ed io pure… Oh Henry, senti che farò: un bel rubino voglio acquistare vivido e puro, sopra un ago d’oro… sulle mie labbra lo voglio appuntare chiuse sí strette, non faran parola! sí, il mio dolore gemerà serrato, nell’ore cupe de l’interior rivolta… invan ribelle…

Se continuo, minaccio di diventare un poeta stracciapa-ne! Meglio è virar di bordo… — Eppure è così, è cosí! Quella gemma rossa, è una stilla di sangue uscita dal mio cuore — l’ago d’oro… è la mia follia con Roberto — e certo che per causa loro, le mie labbra non faran parola! — Sono schiava, ora sono schiava, del mio errore schiava! O cielo azzurro che stai ad ascoltare, donami un lembo! …

Dopo questo sottil delirio, a base di triboli, ho avuto un impeto d’ilarità convulsa, un cachinno… Ho riso, sorriso, e riso con smorfie sinistre! Il mio volto è scombussolato, come un giuocattolo ad incastro spostato dal suo congegno, e rimasto sconnesso per qualche urto violento! — Che brutta faccetta cattiva! … Divento piú brutta del mio teschietto d’avorio col quale ho avuto uno scambio d’in-fernal sorriso! Ci siamo abbracciati con quel sorriso in una stretta delirante di forsennati… Ed egli, il mio te-schietto gelido, mi ha detto con una vocina sibilante, mordente.., che passava non solo il mio timpano ma anche il mio sangue e le mie ossa — mi ha detto: — Eccoti; io sono Roberto il bello — il semidio di bronzo! — Allora ho veduto un lontano sepolcreto… Una tomba scoperchiata… Roberto?! Eccolo roso e scarnito> focolaio di vermi.., un putridume… un viscidume purulento… Una carogna, una carogna! — Orrore, orrore, orrore! — Vedevo cosí, cosí — con gli occhi dilatati dal terrore, nella suggestione della macabra visione… Ma tu Roberto, non sei degno della tomba dei tuoi antenati. Tu?, tu l’assassino! Vai alla fogna, alla fogna! Va al mare che l’onda ti scotenni, o brulichio di vermi. Affonda, affonda giú nel tuo mare! Cosi, io ti sospingo — ti butto col mio piede… Ah quale ira feroce mi dilania in questo momento! O sepolcreto, di candidi e di oscuri marmi adorno, ricco di maestà, coi grandi angeli reggenti le corone dei semprevivi — e voi teste bianche e gelide scolpite nel marmo, teste nobili e fiere… sorgete! Fiamma di vita e di sdegno esca dalle vostre fredde labbra… Rinnegatelo, quand’egli verrà a Voi! Rinnegatelo, rinnegatelo! … Cosí ho urlato mordendo i merletti della mia chaise-longue, madida di sudore, di lagrime e di bava… Rinnegatelo, rinnegatelo!! Ricordo che nel sepolcreto dei Conti Brighten, quand’eravamo fanciulli — Roberto schiacciò un ramarro colà penetrato. Quell’atto crudele doveva farmi comprendere quale cuore aveva il mio compagno!

Per piú giorni gli serbai il broncio, inorridita di quello scempio verde-giallo-rosso. Poi dimenticai…

Ora lo odio e lo disprezzo — specialmente in certi momenti — ma quando sono stanca di piangere, di gridare — quando lo ho ben bene staffilato col mio pensiero — allorché l’ho schiacciato con la mia rabbia e l’ho ridotto una poltiglia giallo-verde-rossa come quel misero ramarro — provo una sensazione di sollievo, di rimpianto e di dolcezza. Una sensazione che pare una corrente d’aria profumata, mentre soffoco tra un fumo denso e caliginoso — sotto un tunnel oscuro — ove passa e ripassa la bestia nera dai grand’occhi di fuoco col suo urlo potente — traversando la galleria elicoidale, snodandosi come un mostruoso rettile metallico.

Che è, che è, quell’alito balsamico che mi solleva?

Ho paura… ho paura che tra quell’intricato viluppo di mal’erba… giaccia sepolta ma non spenta… l’antica fiamma che mi sommerse…

Ed allora l’odio ed il disprezzo piú forte… lo debbo a me! Lo debbo a me! Mi percuoto rabbiosa, e mi mordo le mani, le braccia… Mi guardo entro lo specchio come guarderei un mio nemico!…

Poi c’è Henry… che va, ritorna, appare, e fugge… innanzi al mio pensiero… Ritorna caramente: t bello, dolce e tenero, mi tende le braccia… Una delicata fiamma azzurra esce da quel corpo roseo di fanciullone amoroso… Ah! dietro la sua testa bionda — ecco quella nera, che sogghigna: improvvisamente, tra bagliori vermigli, ed una falce lucente, che rapida fende, fende, fende.., atterrando l’azzurra barriera… Il demone nero mi riafferra, mi avvampa… mi strugge ancoral.., Roberto! Dannato Roberto!

Che realmente abbia dei pazzi tra i miei antenati?!
Sono stata da Matilde, che è molto ammalata… — Sei ammalatina ed infelice? — povera caruccia mia, dimmelo, non è cosi? — E le ho dato un bacio lieve lieve, cadeva come un petalo di rosa — poi un altro ancora mentre la  rincuoravo con materne parole.
Le ho accomodato i cuscini sotto la schiena, poi mi sono sdraiata in una vecchia poltrona patriarcale ove si poteva benissimo dormire. Matilde ha mangiato un piccolo biscottino ed ha sorriso al mazzetto di gaggie che le ho portato. Povera Matilde! Ella ha una vocina debolissima che m’impressiona dolorosamente. Mi pare una margherita, piegata in sullo stelo, rivolta verso la terra, ancora attaccata per un filamento verde, vivente appena appena per quella fibrilla. — Soffri per il tuo caro Diego. Io lo so Matilde; se ti fa bene sfogati con me! — t vero, è vero. t per questo che muoio. Oh le medicine che vuoi che mi facciano, se il tarlo è nell’animo! Occorre che muoia, non c’è altra via. Posso andarmene tranquillamente giacché mio fratello è laureato: di me non hanno piú bisogno… — Ha concluso con profonda mestizia. — Due lagrimette, due piccole stille, hanno bagnato appena le sue occhiaia. — Non ne aveva piú di lagrime! Chissà quante ne aveva versato in segreto… — Dove è adesso? — Le ho chiesto alludendo a quel Diego. A casa sua per passare il Natale in famiglia. Sarà qui a capodanno e vuole gli prometta di sposarlo! Non se ne accorge che sono in fin di vita! Sposarlo, sposarlo! E
l’altro mi assilla e tormenta volendo che gli appartenga ancora… Acconsentirebbe al mio matrimonio a questo patto, cioè un’infamia maggiore! Mai e mai! … Confessa tutto a Diego — ho detto io dopo un istante di riflessione. Ti comprenderà e si accomoderà tutto, vedrai! Ella si è sollevata dai cuscini, come galvanizzata… ancora più pallida e col sudore alla fronte e mi ha risposto anelando: Cento volte la morte piuttosto che egli sappia la mia abbiezione!

— Allora vuoi che tenti convincere «l’altra parte»?

— Ho già tentato io supplicando, mostrandogli il mio dolore disperato, ma è inutile, anch’egli mi ama, a suo modo, perciò non cederà mai!

–  Quella misera vocina non ha potuto continuare; gli occhi mi hanno guardata, teneri e riconoscenti e supplichevoli. Le ho asciugato il sudore sulla fronte scottante, le ho avvoltolati i piedi freddi in una sciarpa di lana, mentre le mormoravo delle tenere parole di incoraggiamento, vezzeggiandola e cullandola come fosse un piccino piangente.

Tu dunque mi assolvi? — mi ha domandato con espressione di contento per le mie tenere premure.

Le ho lisciato i capelli, impallidendo. — Io?! Ma io sono una scellerata al tuo confronto! — Tuttavia ho taciuto accettando una stima che non meritavo… Oh quanto sono vile! Non dovevo a Matilde la mia confessione? Ma poi chissà, l’avrei resa piú triste ancora! Ed anche perché mi vergognavo…

I piccioni tubavano sul balcone…

— Mandali via, Marina — non posso piú vederli col loro continuo amore! — mi ha detto aggrottando un poco le sopracciglia.

Ho bussato sui vetri e tosto i colombi si sono librati verso i tetti. Quanto erano graziosi con quelle zampine rosee ed il collo iridato tra l’ali bianche e grigie… Andate, andate!… Ru-ru, ru-ru! Prendete il largo!

Matilde, dopo qualche istante di silenzio, mentre guardava i colombi che se ne fuggivano, ha detto:

— Siamo povere ragazze, in balia dei nostri patimenti, della nostra giovinezza, sopratutto della nostra miseria! Quando non si ha alcun sostegno, bisogna finire col cedere più o meno… Tu sei meno disgraziata, ma… molte altre poverine… combattono…

Il resto non l’ho potuto capire, perché la sua voce s’affievoliva sempre più. Era inondata da un sudore copioso, forse per la fatica che le costava il parlare. Poi è venuto il fratello.., poi un altro medico.., e le sorelle… Marina?! Matilde? Sei ancora qui? Se mi aggravo promettimi che verrai ogni giorno. Verrò, ma non avere idee tetre. Muoio di giorno, vedrai… Sí, ma fra cinquant’anni almeno! Le facevo animo, ma dentro di me provavo uno sgomento, una tristezza intensa, come sapessi che davvero la poveretta non guariva più! Possibile, possibile quella fresca giovinezza disseccata in pochi giorni? — Mentre la baciavo sulle mosse di andarmene, mi ha detto con insistenza ed ansietà: Mi chiamerai il prete quando sarà l’ora! — A mio fratello piaci tanto. — Come mi sarebbe caro che tu pure… che tu potessi prendere il posto mio quando non vi sarò piú! — Non dir questo, non dir questo… Matilde. — Tu devi vivere! … Nelle strade grande tramestio di gente festevole ed affaccendata. Ho mandato i regali d’occasione, gli auguri — tutti i convenzionalismi, insomma! Vado al mio lavoro. — L’anima ed il corpo mio sono stanchi! … In ufficio restano quasi tutte le piú giovani perché le anziane hanno avuto l’orario dalle 8 alle 15, e noi dalle 15 alle 22. Molte sono partite per passare il Natale con i parenti. Quante grida e proteste per quel benedetto orario! Tutte sono vestite meglio del consueto. — Di sera il lavoro è molto meno. — Già! Il mondo sta banchettando! Noi sole siamo meno del povero operaio; eccoci costrette a mangiare un po’ di roba fredda e senza contorno… di affetti… Guardavo quelle teste cosí diverse e pensavo che anche le mie compagne chissà quante tristezze e miserie nascondono! Quanti mesti romanzi sono in loro! Gli uomini (i colleghi) pur loro sono vestiti a festa e si mischiano a noi. Si parla e ride un pochino. L’elemento mascolino porta sempre un rialzo di… temperatura! … Ho mangiato una scatola di salmone e capperi, del pan certosino, torrone, mandorle e fichi. Ed ho voluto non pensare a nulla, né al passato, né al presente, né all’avvenire! Rina Darelli è contenta che viene il suo Vivy, Nina Sambise con tutta l’anima ed il corpo, è intenta al suo apparato, perché «parla» col suo fidanzato, lontano 8o chilometri! … Parli con lui, briccona?! — le chiedo tirandole un orecchio. Già! — e mi guarda beatamente. Viene?? — Domani, dopo il suo servizio, verrà in bicicletta… — Con questa stagione? Ottanta chilometri in bicicletta è una pazzia! Nina ride: — E che ti credi che abbia paura del freddo e della neve, dell’intemperie, della fatica?! Arriverà coi ghiaccioli attaccati alla mantelletta, dura, stecchita come un baccalà. Inzaccherato, rosso dal freddo, eppure tanto contento. Una cosa sola guasta la mia gioia! Mamma non simpatizza per lui… non vorrebbe; dice che mi farà morire di dolore! Sono idee strane, no?! Mi vuol tanto bene! — Mah! Non dico di no… Gli ho regalato… indovina che? Una scarpina… Oh oh, di Cenerentola?! — Piena di dolci e dentro dei bottoni da camicia, poi un album per raccogliere le mie cartoline illustrate. Sulla copertina v’è un gran giaggiolo… Come lui bello… — Vi è lui solo!! Ma davvero, sai! — Oh oh questo poi no, no! Vi sono altri, prego! E co- me fai, sei ricca ora? — Taci, ho venduto un anello della nonna ed un orecchino… mio… di quando era piccina.., un carissimo ricordo che conservavo gelosamente… — E sei tanto contenta?! Penso al piacere che do a lui.., perciò il resto è nulla! — Ed il trasloco, verrà? Ancora quindici giorni poi sarà qui, con me tutto l’orario e dopo… Dopo, tutta la vita! Un bell’affare — aggiungo io scher-zevolmente. Purché mi ami sempre! Non ceni? Dovresti pensare anche a questo, mi pare! — No; a casa, mangerò a casa, alle 22. Io temo che ella sacrifichi la sua cena! Poi mi dice sempre con gaiezza: — Ho bevuto l’uovo! Poteva diventare un cappone, sai pure… t vero, è vero, ma so… Io ricordo il tuo svenimentc — tempo fa… Ho pensato che in un modo o nell’altro facciamo delle sciocchezze tutti, quando siamo soggiogati dall’amore! E che faranno gli inglesi? Io mi propongo di tornare a Venezia. Assumere qualche informazione; cercherò la tombe di Baldovina per avere la certezza del fatto. Roberto mi narrò la cosa a metà… La signora De Ferronis mi ha telefonato: «Venite, non mancate; portate le carte! » Povera donnina, anche lei he la sua vertigine per un cicisbeo impomatato che mi urta i nervi. Ma ora la compiango… divento indulgente! Mar mano che conosco la vita! Poi si rinnovano gli auguri: l’orario è finito. Si esce, alla spicciolata, sempre coll’auguric di «buon Natale!» — Oh, che buon Natale! … Ho presc una vettura ed ho ordinato di scorazzare le vie principa« li, al passo come a pedinar qualcuno. Tutti i principali ri trovi sono pieni di gente. Comitive vagabonde e chiassos( nella via, ragazzetti erranti…, fioraie ambulanti…, un ceri naio zoppo e grande ressa per entrare al cinematografo Ed ecco l’«Eden». Il Caffè-concerto. Un gruppo di signo ri osserva un’esposizione di grandi ritratti appesi alla parete. — Ah c’è anche Henry?! Non l’avevo conosciuto e poi… anche l’infame Roberto! Ufficiali dell’esercito, altri sfaccendati. Ho fatto fermare la vettura: ho pulito il vetro appannato del finestrino ed ho potuto leggere un nome: a lettere cubitali «Cilly Sicilienne!!! » — Ho sentito un tonfo al cuore, una pena! Presa da un subitaneo orgasmo…! Ecco, s’inizia la guerra… o meglio la commedia per «liquidare» Roberto — senza i milioni di Dolly. Si prepara la trama onde impigliare Roberto! Cilly sarà un istrumento… Ma come finirà? Ancora un duello? E se Henry… no, no, non voglio supporre nulla di spiacevole per Henry… A casa ho trovato un gigantesco mazzo di gardenie — con gli auguri di Miss Dolly. Cara Miss, ella è gentile come tutte le inglesi — si è ricordata di me, di me! Che sono la causa indiretta dello sfacelo del suo sogno. Ora provo della tenerezza per Miss Dolly… Il silenzio è intenso, sui tetti vi è la neve. La cappelletta delle monache è illuminata. Mi appoggio coi gomiti al davanzale. Ho l’illusione che piovano tanti petali di gelsomino e mi pare di udire un lontano suono armonioso. Le grondaie lasciano sfuggire un sottil filo di acqua nel largo cortile. Dai camini esce un fumo grigio-azzurro. Dove saranno ora i poveri passe-retti? In tutte le abitazioni è l’allegria.., ed io sono sola col mio povero Totillo. Ho rovesciato l’oricanno sulla paletta arroventata… Un profumo squisito tosto si è diffuso… Tanti secoli passati i Re Magi videro la stella e portarono incenso e mirra… nella misera stalla ove una povera madre, da tutti respinta aveva dato alla luce il suo fanciullo presso i bovi e all’asinello… Le campane delle chiese vicine suonano a festa. Leopardi dice che a tal suono l’animo si riconforta… Può darsi, ma ora mi rendono triste, mi commuovono. — Din, din, din, don! E suona anche l’harmonium tedesco dei miei vicini. Ogni campanile vibra teneramente. Tutte le campane e campanelle si danno alla pazza gioia. Mi pare d’essere ad una fiera di campane in Russia; ed ecco io sono un misero battaglio: dan, dan, don, don!… «Quella notte» a Betlemme si vide una gran luce — e nella foresta tal chiarore che le fiere ruggirono e tremarono spaventate… Ho un fuoco roventissimo nel mio caminetto. Le tuberose mandano un odore acuto che mi fa doler la testa!! Sulle ginocchia le lettere di Roberto infame, ho la tentazione di leggerle, ma no, no! Via, alle fiamme, alle fiamme! Poi ho riaperto la Bibbia. Che me ne importa del mistero dell’Apocalisse?! Leggo il Cantico dei Cantici… È una profanazione che commetto… è un peccato, perché leggo con occhi accesi di desiderio. Sul cippo di madrepora le gardenie di Dolly De Liverstone mi danno un brivido. Anche quei fiori sono… profanazione…

Ho posseduto colui che Dolly amava, poi le ho svelato che egli è un assassino. La odiavo, ora non più — quasi amo suo fratello. E quelli mi regalano braccialetti, anelli e fiori. — Le campane suonano ancora. Adesso il Padre D’O-relles e tutta la comunità staranno salmodiando. La Contessa sarà alla chiesa… La Santa Russia sbatacchierà le sue chiese tutti i suoi campanili, nonché la sferza sui miseri schiavi! A me, a me la sferza! Frustatemi questo mio miserabile corpo! Battete questa carne indomita! Che più non senta altri spasimi! Henry, Henry! oh Henry, se tu sapessi che questa sciagurata dal viso d’angelo, alla quale non osavi neppure dare un bacio per non offuscarne la purezza è… forse madre! O Vergine di Nazaret, in questa notte sacra, per quell’ora di felicità per voi divina, vi scongiuro, fate che non avvenga quanto spera il miserabile Roberto per vincolarmi a lui!!

La mia bella madonnina di maiolica ha un’espressione d’intensa pietà…

E Matilde? Povera Matilde! Quelle sue mani d’alabastro, ove si contano le ossicine, mi fanno paura, mi par di vedere delle mani d’un morto. Ed ecco, mentre quella è tanto malata d’amore, ammirabile di lealtà, vedo un’altra donna, seminuda, esposta al pubblico, pronta a profondersi al miglior offerente!

Cilly! E tante altre Cilly — ricche, festeggiate, portate in trionfo, viaggiano con centinaia di bauli, hanno il loro manager, sono cariche di oro… poi sposano un qualche nobile spiantato, come il Conte di Brighten, e la… buona società.., le accoglie nel suo grembo! Bon gré… mal gré…

Sdraiata nella mia chaise-longue, con tutti i capelli sparsi, il seno denudato, rassomiglio ad un’automa che vidi una volta. Era bionda anche lei. Era di cera, rosea, bellissima e palpitante. Aveva sul petto un orribile gnomo. Ed ella, oppressa, nell’incubo ansava, smaniosa nel travagliato sonno: cosí di me, che sogno, ma con gli occhi aperti, dilatati ed umidi; come avessi innanzi a me uno spettacolo orrendo, eppure affascinante!

Una foresta d’abeti, faggi, frassini, pini silvestri in miniatura… Ecco la sala del tè danzante della signora De Fer-ronis. C’era anche la neve, la tana dell’orco ed il povero «cappuccetto rosso» della favola, smarrito nel bosco… che camminava in cerca d’una fata buona.

La sala è preparata per divertire i bambini, ma poi chi meglio si diverte sono i… grandi!

— Tutte le signore parevano davvero fate scintillanti di gioielli — vestite di sole — vestite di luna — vestite di stelle… Ed io la reginetta delle fate. Ho dato fondo ai miei piccoli risparmi, ma che me ne importa?! Un lavorio d’acciaio tra i veli grigio-perla e foglie di geranio. — Ecco la mia toeletta. —Due foglie fra le treccie, altre due sulle scarpine. — Erano assai piú suggestive dei brillanti!

Mi sono divertita, sfoggiando un brio indiavolato.

I miei occhi, per un istante, hanno incontrato quelli dell’assassino, poi quelli dolcissimi di Henry.

L’infame Roberto mi ha sussurrato:

— Sei ancora feroce?!

Quella voce calda, vibrante, ironica, mi ha toccato ogni piaga del mio cuore!

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest