Ricordi di una telegrafista – 7

La mia gondola aveva un allegro barcaiuolo che canticchiava, alternandosi col grido dall’erta: Aoh! aoh! … — Guardavo distratta i ricchi palazzi, tutti gioielli d’arte, mi assorbivo nel glauco dell’acqua che lambivo colla mano. Tornavo dopo aver visitato la tomba di Baldovina e di suo padre. Mi sentivo fredda, scoraggiata, stanca della vita, quando una voce m’ha fatto sussultare come galvanizzata:

– Miss Marina, Miss Marina! — e sventolava il cappello, come un vessillo in segno d’esultanza e di saluto. Era Henry! Henry De Liverstone in una gondola che si avvicinava alla mia rapidamente.

Io era allibita! Mi vedevo già avviluppata dai suoi dolci e blandi occhi che invocavano dai miei un ricambio di tenerezza, ed io, piena di spavento, non ricambiavo nemmeno il suo saluto!

– Venite… venite, scendete! qua… appoggiatevi al mio braccio, datemi il vostro mantello, il plaid. Avete sempre le violette con voi! Come vi sentite? Oh io son ben felice di trovarmi qui. Dolly vi ricorda caramente; ho belle cose da dirvi. Venite al mio Hotel?!

Confusamente sentivo le sue parole, mi lasciavo trascinare stretta al suo braccio, camminavo in fretta ma faticosamente senza poter rispondere neppure una parola. Il braccio d’Henry mi produceva un benessere che man mano andava aumentando… Mi appoggiavo volentieri dimenticando tutto, assaporando quel contatto come un frutto profumato.

Non vedevo più nulla intorno a me, andavo come una cieca…

La voce carezzevole continuava le frasi gentili. La dolce pressione del braccio si faceva più calda, la sua mano sguantata carezzava il mio polso bianco. — Pensavate male di me? Avete avuto fede in Henry vostro? Mi avete conservato il vostro cuore… — Io sentivo ad ogni parola affettuosa una lama punzecchiarmi quel cuore che egli desiderava; pure ho dovuto vincermi, mostrarmi amabile e lieta. All’Hotel ci siamo seduti in un largo divano di damasco un po’ sbiadito, che mi è parso quale sangue malato come sul labbro di una ferita. Mi pareva che quel damasco soffrisse del peso dei nostri corpi ed i piccoli scricchiolii che emetteva ad ogni nostro movimento, fossero i suoi gemiti tristi. Henry mi baciava le dita ad una ad una, poi nel concavo della mano, sulle vene azzurrine del polso, sulla peluria d’oro del mio avambraccio, mentre la sua destra mi stringeva la vita. Quelle caste carezze mi hanno turbata, agitato il mio sangue. Senza riflettere a ciò che facevo ho afferrato il capo di Henry e l’ho tempestato di baci violenti, la solita crisi mi afferrava; il prepotente bisogno di baciare mi rendeva smaniosa come con Roberto. Non sapevo più chi era l’uomo: se Henry o Roberto. L’empio desiderio mi ha abbruttita, mi sono fatta demone, ancora demone tentatore, non badavo punto alla scorrettezza che commettevo; ho voluto rivedere Henry alterato dallo scompiglio dei sensi; poi mi sono accosciata ai suoi piedi come una bella cagnolina candida. Volevo tenerlo così… sotto l’incubazione!! Perché era bello per me quel tormento, ritenevo altrettanto per lui.

Stassera Lady Layard mi aspetterà invano, — ha detto giovialmente. — Oh, non allarmatevi, non v’ingelosite! una nobile dama, che si può ritenere fondatrice dell’ospedale inglese alla Giudecca ed altre opere pie: la rispetto e venero.

Poi ha acceso la luce elettrica che dal mio capo traeva le scintille d’oro e ci blandiva come se i raggi della luna splendessero su noi.

— Perché siete qui, Marina? Prendete il tè? Volete che ci facciamo servire il pranzo — qua, noi due soli? — Bene. — Sentite dunque in furia e in fretta. Finalmente mio padre si è piegato, visto l’insistenza di Dolly in nostro favore. Calcolavo sorprendervi nel vostro grazioso nido e portarvi la notizia che spero vi farà piacere!

Sí. dicendo, egli sorrideva amoroso con una sfumatura di furberia, cercava incontrare il mio sguardo. Pareva un ragazzo festevole!

— Direte voi quando debbo parlare col vostro tutore e stabilire tutte le formalità — faremo presto. Mi approvate?

La sua voce commossa esprimeva tutta la sua tenera e delicata passione mista all’inflessione della vittoria. Il capo mi doleva per l’orribile tensione dei nervi, e le mie mani si sono fatte di gelo.

— Perché tacete? — ha chiesto con un poco d’inquietudine.

Mi sono voltata verso la finestra, ho appoggiato sui vetri la fronte scottante, guardato con profonda amarezza l’aspetto animato della città… l’acque scintillanti di tante luci. — Ecco — ho pensato — proprio qui — ho distrutto la mia vita, e proprio qui Henry mi offre la sua mano che non posso accettare. Oh, triste fatalità, che ironia del destino, che castigo! E la felicità era proprio questa, che giunge non pii in tempo, e che sono costretta ad allontanare da me! Ho avuto l’animo sconsolato, e nel contempo dolcemente lusingato come da una carezza fine. La nobile famiglia mi accettava — accoglieva la modesta impiegata. Dolly ha perorato per me… ed io!? io… sono una miserabile!

Henry si è alzato di scatto, ponendosi al mio fianco, e mi ha detto con voce alterata:

— Marina! Così accogliete la notizia che ritenevo bella per voi?!

— Henry, vedete quelle acque scure, laggiù a destra, quell’angolo tetro? Ebbene, vorrei buttarmi in quel cantuccio cupo e scomparire!

— Voi! Mi dite questo!? — Mi ha afferrato le piccole mani, con impeto insolito, stringendole fra le sue robuste… — Perché?! Spiegatevi — vi prego! Cara, volete dirmi perché, subito?!

Henry mi rappresentava l’amore puro, la bontà, il disinteresse, la rettitudine. Il mio cuore si dilatava in un profondo sentimento di riconoscenza e di venerazione. Mi è sembrato circondato da una aureola, e smarrita, sperduta, affranta… come una cosa morta sono caduta alle sue ginocchia — singhiozzando per uno spasimo che mai potrei descrivere! Egli — pallido e tremante… poi ancora colmo di tenerezza — tentava rialzarmi, ma non poteva… Mi sentivo gravitare sulle spalle tutte le miserie, tutte le debolezze e malvagità del mondo intero. Mentre voleva rialzarmi, io mi facevo sempre più piccola, aggomitolata, quasi col viso sul pavimento. Volevo annichilire il mio corpo come era annichilito il mio cuore… Poi ho sentito afferrarmi di tutto peso! Henry mi distendeva, mi appoggiava al suo petto, e mi teneva stretta stretta, con disperazione.

— È un fallo? Un vostro fallo che non osate dirmi? Mi avete fatto molto male — ma guardate — ritorno sereno — sento il mio sangue che circola di nuovo normalmente! Via, sorridetemi; non voglio umiliarvi, ma bisogna pure che io vi dica che vi perdono tutto. Ed ora ditemi che sarete la mia buona compagna per tutta la vita…

A quelle parole generose ho sentito in me una vampa…

In quell’istante l’ho adorato! L’amore più intenso, devoto, fatto di riconoscenza, di stima, d’entusiasmo… si è delineato rapido nel mio animo… L’attrazione squisita, dolce del periodo passato, si è completata in un trasporto d’adorazione… Quella delicata bontà, quella generosità squisita… sgombravano dal mio animo la mia inclinazione per Roberto… Già cessata e poi risorta, e che moriva ancora innanzi all’amore d’Henry; innanzi alla sua magnifica figura morale, che incarnava l’ideale da me sospirato, e mi rappresentava un quadro di felicità dolcissima… che pure, che pure… io disgraziata! disgraziata! avrei dovuto respingere…

Caro Henry, buono, dilettissimo Henry! Tutto il mio essere si slanciava verso lui! Non sentivo più che un Roberto di Brighten aveva assorbito l’anima e il corpo mio, non sapevo più che esisteva quel Roberto di Brighten! Sempre impetuosa, fatta di scatti violenti, mi sono gettata al collo d’Henry, mormorandogli tra le lagrime più brucianti:

— Henry, sono l’ultima delle donne… peggio della cortigiana, peggio di Cilly! Una creatura spregevole!… Su me, sul mio sentire… bisognerebbe che il gammautte d’un medico morale strappasse la sozza essenza che m’incancrena! Che estirpasse quella parte di cuore cottojo che mi spinge facilmente a deviare dalla dura, ferma, guida di ferro su cui vorrei trascinare il mio piccolo, ma ardente e veemente carro… Che mi portasse ad un’euritmia cerebrale, invano sospirata… O Henry, non posso, non debbo essere vostra per la vita! E vi amo, Henry! Ora so che cosa sia… amare… realmente… Henry, Henry, dovrei parlarvi giorni e giorni interi per dirvi tutto l’animo mio! Ma a che pro!? Caro… sentite… datemi le vostre mani, qua… Sentite… questi battiti vigorosi?! Oh, se sapeste che cosa provo!! Quale fascio di lame taglientissime corre nelle mie vene insieme al mio sangue! E nel contempo… fra il dolore… fra quello scempio di carne dilaniata… una suprema dolcezza mi fa sorridere al martirio.., come sorridevano i martiri della fede… raggianti di beatitudine nello sfasciarsi dei loro corpi in balia delle fiere… Henry, Henry… voi mi amate, mi amate come anelavo d’essere amata… Voi siete per me l’Angelo della carità, dell’Amore Santo insieme fusi! Da voi irradia tale luce che mi abbaglia l’anima… io cado innanzi a voi, prona, curva, annientata eppur piena di gaudio… Voi mi aprireste le braccia per sempre… ed io non posso che sostarvi un istante…! Quell’istante sarà tutta la mia vita — lasciate che mi innebrii sul vostro petto… lasciate che al vostro contatto io sia demente… per la profondità delle sensazioni che voi potete darmi, che provo solo a sfiorare il vostro braccio, il vostro abito… Amatemi tutta questa notte, poi cacciatemi come una donna perduta…

Egli.., smarrito, mi ha serrata tra le braccia, non per abbracciarmi, ma come che potesse far sortire da quella pressione la causa infame che mi obbligava a respingerlo…

— Non vi comprendo! Non vi comprendo! — gridava convulso, pallido, contraffatto. — Voi! Voi?! Come una donna perduta… Che vi ami una notte soltanto…? Marina… Voi, la mia eletta! La mia candida bambina, sulla quale… forse… per un istante sarà passato sopra una sozza bava… ma che… per me… rimane la soavissima, la purissima essenza che deve profumare tutto il sentiero della mia esistenza… Ciò che voi mi dite, non posso, non posso accettarlo! È impossibile! È impossibile! Ciò che mi dite, debbo respingerlo… Al vostro Henry… non darete mai la convinzione… che siate immeritevole del suo nome… e di seguirlo nel cammino…

… Parlava, parlava.., ammirabile di fiducia e di tenerezza per me, ed io sentivo in cuore come una mina, che doveva scoppiare, che non potevo frenare… Henry…, avrei voluto afferrarlo, a poco a poco… inghiottirlo come io fossi un mostro gigante… e farlo scomparire in me e tenermelo per sempre… diventasse vita della mia vita…

I nostri occhi entrambi azzurri, due tonalità d’azzurro armonizzanti nel colore e nel calore.., si sono avvinti.., come saldati insieme; tutto il mio sangue non so dove sia fuggito — dandomi lungo le braccia come un soffio di austro… Ho creduto svenire.., ho sussultato… come la fronda sottile del salice, su cui saltella un passero… Ho tentennato… Poi improvvisamente libera di quel carico, risorgendo, mi sono ritrovata laddove era attratta! Tra le braccia d’Henry…! Un lavorio lento… lento… sconvolgeva la mia mente; scomponeva, ricomponeva, aggregava e disgregava la concezione esatta delle cose… Presa da un torpore squisito che si mescolava coll’acuto senso di sofferenza… sentivo che era come una torcia accesa: ardeva e si consumava…

Henry si è scosso; preso da un’agitazione che lo faceva tremare… mi ha guardata quasi con durezza e mi… ha respinta… allontanandomi da sé… senza collera… ma gelido — come che impietrisse e più non sentisse amore…. per me.

Allora le mie mascelle inferiori si sono alzate in una mossa felina, come che dovessi afferrare la preda a guisa dell’animale rapace…

Mi sono buttata su Henry, come volessi pugnalarlo! Egli lottava… No! — No! — diceva sordamente — no, no! — Non voleva le mie carezze, non voleva le mie carezze… pareva gli ripugnassero! …

Allora febbrilmente, spasmodicamente, le mie braccia hanno voluto afferrarlo… ad ogni costo, ad ogni costo… ruggendo, col fuoco nelle pupille, le nari dilatate, le labbra che si contraevano in continui fremiti…

Urtando, ansando, colpendo, cercando invano di raggiungere quella bocca, quegli occhi, quelle guancie, che erano per me ciò che è… l’aria per chi… sta… per morire… asfissiato. E… le ho raggiunte… ridendo e singhiozzando, smaniando e soffocando l’urlo della gioia, mandando dalla mia gola un suono inarticolato, un gorgoglio… un piccolo ululato di cagnolo morente… un gemito di paziente martoriato dagli istrumenti chirurgici. Henry! Henry! chiamava il mio alito, il mio sangue, Henry…! — gli ho trasfusa la mia febbre violenta.., cedeva.., cedeva… mi ricambiava, lo avviluppavo nei miei capelli profumanti; nella corrente di passione che emanava da tutto il mio corpo — era avvolto in una nube d’un misterioso aroma, che sempre si sprigiona dal corpo della donna fine, raffinata, innamorata che sa, che vuole avvincere, trascinare, ammaliare, salire fino alle stelle o sprofondare negli abissi…

Mi pareva d’essere con Henry entro la corolla, tra i petali di un odorissimo giacinto, e quei petali si alzassero intorno a noi racchiudendosi all’estremità con una soavissima perla di rugiada, nel bacio del sole… all’aurora; quando l’orizzonte è tuttora simile al fior dell’oleandro, e cantano gli uccelli la vita… l’amore…!

Il divano violaceo, ho creduto che cangiasse colore, che fremesse con noi, soffrisse e godesse sotto il peso dei nostri corpi a lui abbandonati. Ho tenuto con i miei denti il labbro superiore di Henry, tra la morbidezza dei suoi fini baffetti biondi, sentivo come un’orchidea frusciantemi lieve lieve, e solleticante. Mio Henry, mio Henry… prendi, prendi, prendi! I miei baci cadevano fitti, ininterrotti… come chicchi furiosi di grandine sopra un bel frutto nell’albero; conficcandosi… lasciando traccia di sé… consumando quei tessuti polposi… come che assorbisse… strappasse… per nutrirsene! Così io assorbivo, strappavo, suggevo… mi nutrivo del sangue che fuggiva dai pori, segnando tanti puntini rossi… come hanno certi garofani screziati…

Poi… una lacuna… non capivo più nulla, pareva che mi trascinassero per il capo in un antro scuro scuro, e mi girassero in circolo fra un’atmosfera che mi soffocava, mentre una strana musica ed odori acutissimi mi facevano dolorare il cervello…

Indi Henry mi ha dato una stretta folle, ho creduto che i nostri giovani corpi dovessero piegare all’impeto dei sensi… ma no, ma no! Henry si alza, di scatto, si scrolla come un puledro dopo una trottata, già libero del giogo. Henry s’avvicina all’étagère, si versa un bicchierino d’un liquore verdognolo chiaro, poi sedendosi in disparte, riacquistata la calma, si ricompone. Dall’astuccio leva una sigaretta, l’accende, e guarda il fumo azzurro-grigio che si dilegua tenue, incrocia le gambe, con la mano sinistra dondola una sedia, e mi dice con espressione di collera trattenuta a fatica:

— Dunque, non mi volete per marito, mentre io era disposto a perdonare ogni vostro fallo. Potete dirmene la ragione? Potete? Miss Marina, le mie orecchia, nonché ogni altra mia facoltà, son qui… protese… per ascoltarvi.

Mi pareva che nella sua voce vi fosse ingiuria e sfida_ Che nel suo sguardo splendesse sarcasmo, dileggio, sprezzo._

Allora, la vipera… pestata alla coda, sono stata io in quel momento! Subitamente cangiata, come il drappo a seta bianca caduto nella pozzanghera e calpestato. Darli squisitezza dell’amore pii profondo mi sono macchiata di sfumature, di rabbia, di cinismo, di rivolta… chiazzata dei colori più biechi e sporchi…, mi sono sollevata adagio da3 divano violaceo… alzandomi come che dovessi elevarmi a volo.., e squadrando Henry come fosse un mio schiavo, il mio eunuco, ed io la sultana… dalla mia bocca di fragola matura, lievemente ingrossata nello spasimo dei baci — tra i dentini nivei, è passata una risatina sottile, ma penetrante, ma pungente… L’aria, il cuore d’Henry debbono aver sentito come il passaggio d’uno zoofita con spine articolate o… più semplicemente.., la scorza spinosa delle castagne fresche…!

— Sir Henry De Liverstone — ho esclamato cerimoniosamente — io sono per servirvi. Favoritemi il vostro liquore, grazie… ancora! soffoco pel caldo… permettete… scusatemi… Se non mi libero dai miei indumenti, non posso parlarvi. — Figuratevi dunque d’essere con… Cilly Sicilienne. Eccovi una delle sue eleganti pose statuarie!…

Sí dicendo, prima che Henry potesse opporsi, ho levato rapidamente veste e sottoveste, con la smania di chi si leva d’addosso un pesante fardello, respirando di sollievo… coperta dalla sola camicia tutta merletti al fondo ed allo scollo, aperta sui fianchi e trattenuta da morbidissimi nastri color ciclamino. Sotto la trasparente stoffa, il mio corpo appena rosato, ardeva — d’una febbre effimera per la quale sentivo la smania di levarmi… sin… la pelle — pur di sentire un po’ di frescura! Mi sono seduta sopra un tavolinetto di stile impero, tutti i capelli sciolti lambivano il pavimento, e la mia destra irrequieta li scompigliava, li sparpagliava carezzevolmente.

Mi servivo di loro come fossero ventagli, rimuovendoli per sentire un alito fresco intorno a me. La crocetta brillantata dondolava sul mio petto, con i suoi bagliori.., pareva volesse saettarmi piccoli rimproveri per l’assenza completa del pudore che in quell’istante mi aveva abbandonata, e richiamarmi, e richiamarmi.., ma io non l’udiva, tutta racchiusa in un’idea sola — un’idea proterva, un’idea da cortigiana! Che m’impediva di sentire ogni altro appello — e c’era anche l’ardore di conseguire una vittoria, come che mi trovassi baldo soldato… innanzi al nemico, di me più forte… e che pure volevo atterrare… atterrare… e galoppare poi trionfante col mio vessillo nella zona conquistata…

— Siete pronto ad ascoltare — Henry? Ancora del vostro liquore! Preparatevi « anche oggi» ad udire una… lugubre storia…

— L’attendo! — cos i ha detto seccamente.

Povero Henry! Malgrado la sua volontà, egli era scosso da impercettibili fremiti, che alteravano la sua fisionomia buona, e gli occhi avevano lampi… lampi… Chissà quale interna convulsione lo agitava!

Ho confessato… tutto, tutto, tutto!! Con crudeltà raffinata ho squarciato quel cuore che mi amava. Henry, mentre m’ascoltava, premeva con le mani il suo petto, a sinistra. In certi momenti le sue pupille parevano affette da strabismo, poi si fissavano come innanzi ad una carneficina mostruosa, come vedesse un massacro! Diventava livido, bianco, chiazzato, paonazzo, i denti stretti, le mani rattrappite come preso dai crampi… ed io parlavo, parlavo svelando tutta la mia anima trista, confessando tutte le mie follie, la mia abbiezione, le mie incoerenze, non tacendo nulla, denudandomi moralmente; spinta a parlare, quasi lieta, esagerando le mie colpe, e poi, e poi… gli ho detto il mistero della mia nascita, ed ho ripetuto la mia risatina a pungiglione!!

Allora ho veduto Henry muoversi.., prima a stento, come avesse intorpidite le gambe, come avesse dei grossi piombi alle calcagna… s’avanzava verso di me, che l’attendevo.., immobile, ritta come una statuetta di bronzo sul suo piedestallo… e mentre credevo mi assalisse col suo disprezzo, mentre mi preparavo ad essere uccisa, ho sentito sul mio capo dorato, una mano materna, dolce, indulgente… come che… volesse… benedirmi!

— Povera Baby, cara piccola, non sono irritato contro di voi! Voi siete vittima più che colpevole, secondo mio ordine di idee. Il vostro racconto mi ha molto addolorato, ma ora mi vedete calmo. Se non eravate… madre… vi proponevo ancora d’essere la mia compagna nella vita. Ma… il figlio… di… capite?… non può essere il mio!… Così mi ha detto benevolmente, mentre le sue ciglia erano umide e battevano frequenti come alucce impalpabili d’una farfallina azzurra. E quei suoi occhi turchini, nuovamente teneri, entravano nei miei… oh! Henry, Henry mio. Subito riconquistata, ancor più commossa, ritornavo Marina appassionata, Marina desolata, che comprendeva tutto il valore di quell’uomo giovane, bello, ricco, d’un cuore infinitamente nobile che avevo.., perduto, perduto per sempre! Una tristezza intensa, un dolore rassegnato, un’affettuosità buona… mi hanno ritornata fanciulla di dieci anni, ingenua, timida, fidente…

— Henry, prendetemi sulle ginocchia, cullatemi come una Baby, cantatemi qualche lied norvegese dolcissimo come voi… Voi mi tenete luogo di babbo, di mamma, di sorella, di tutto! cantate… cullatemi, assopitemi… poi mettetemi sul letto, e voi nella dormeuse accanto come foste il mio Angelo custode… non siete il mio Angelo bello e buono? Gli ho mormorato tante e tante dolci parole, bambina, bambina… era piccina.., un fuscello… Henry davvero mi trattava come fossi Baby… ma ad un tratto…, colla mano ha soffocato un grido che voleva erompergli dal petto… ci siamo guardati, sbigottiti… estasiati, anelanti… un attimo… poi i nostri corpi e le nostre anime.., si sono toccati, avvinti, perduti insieme! Eravamo ebbri, ebbri! Tutti i veleni che danno i voluttuosi sogni, parevano diffusi nelle nostre vene!… La bella fiamma azzurra ingigantiva… non più vinta dal nero demone… assurgeva, assurgeva vittoriosa.., trasportata in alto, sopra un letto vellutato.., tutto petali candidi qual cigno e rossi di porpora… c’innalzavamo diafani… leggeri.., tra le stelle tremolanti la loro luce di cielo.., e più in alto ancora… ci sorrideva l’amore degli angeli…! Deliravo, sognavo, baciavo, stringevo Henry, Henry mio…

Ed ora!? Tacete, parole mie, tacete parole mie! Perché voi mi ritornate altrettanto dolore, terrore ed orrore… il mio pianto è un pianto strano… mi fa paura, mi fa tremare… anch’io come Dolly ho alle tempia qualche filo d’argento. I miei denti battono come presi da febbre… nella notte… bisogna che qui lo dica… in quella notte di paradiso… mi sveglio da un breve sonno, guardo Henry… dorme! Lo scuoto. — Svegliati, Henry…! — Non si muove… Ascolto allibita… gli afferro i capelli.., sollevo il suo capo… ricade inerte… Dio, Dio! io… era lí… nel letto… tenevo tra le mie braccia… un cadavere!

Henry ucciso da me nella violenza delle diverse emozioni…!

Egli era tiepido… del mio calore.., forse,… con gli occhi socchiusi pareva guardarmi anche dopo morto… il mio spavento.., la mia fuga dal grande albergo… fuggii, lasciandolo solo, morto, indifeso, in balia d’estranei; senza più guardarlo…! Inorridita di quel morto che non mi pareva più Henry, Henry… Fuggii senza baciarlo, pazza di terrore… solo ansiosa di non essere cercata, né rintracciata… giurando a Dio che se giungevo alla mia casa… senz’essere seguita ed accusata — avrei vissuto casta per sempre…

Nessuno cercò la «donna», nessuno badò a me, nel ricco albergo…

Perdonami, povero Henry, il mio profondo egoismo, perdona la mia paura di te… morto! …

– Sorella, potete far avvicinare la mia poltrona alla finestra?

Tosto un’infermiera, al cenno della monaca, mi ha spinta sino al balcone. La suora mi ha coperto ben bene le spalle con l’accappatoio di lana e le ginocchia con un panno bianco e celeste.

– Così, state bene? vi sentite meglio? — mi ha chiesto con bontà.

Sorella mia, che sono quei fiori grandi che sembrano di carne e vagolano lassi tra le nubi? Prendete un cordiale; non vi sono fiori, lassù! Riposate il capo sui cuscini. Volete brodo?— Favoritemi uno specchio, e la mia «posta». Qui, sulle mie ginocchia. Mi date una fettina di limone?La monaca e l’infermiera mi hanno accontentata — poi sono rimasta sola nella bianca camera della Casa di salute. Ho guardato i pioppi, i salici, le acacie, e la poca acqua limacciosa del piccolo fiume. Un cane nero vi si è tuffato allegramente. Un uccello si è arato rasente il letto. Un carrettiere caricava la ghiaia. Un cavallo in un prato vicino sferrava calci, grattandosi il dorso sull’erba fresca e nitrendo di piacere. Ho guardato… ed ho avuto un sorriso pallido pallido, come talvolta in inverno è pallido un raggio di sole. Mi pareva che quel quadretto mi mandasse una carezza buona. Meditavo. Poi ho «letto» tutte le carte da visita.., la signora De Ferronis, la Marchesa Dearis, la Contessa Garlendi… tante e tante conoscenze del mio gran mondo. Tutti gli amici della Contessa De Brighten, compreso il vecchio Conte Firmino. Molte delle mie colleghe, una lettera ancora chiusa di Roberto, e parecchi telegrammi di… Miss Dolly!Questi li guardo, li tocco piamente, mi sembrano sacri!Col gomito appoggiato al davanzale, la guancia nel concavo della mano… sentivo che in un anno avevo vissuto tutta la mia vita! Mi pareva d’avere sessant’anni! Come l’Assunta, o meglio come suor Maria.., era già anch’io una vecchierella così… come loro! …Un po’ di vento ha fatto stormire le fronde, ha increspato l’acqua del fiume… mi pareva che le piante e le acque parlassero sommessamente tra loro.., e si lagnassero che avevano freddo, come sentivo io.Chiuse le invetriate, la suora e l’infermiera mi hanno messa a letto… ed io ho voluto che bruciassero delle foglie d’ulivo. Mi hanno accontentata, come sempre; in tutto! ed è venuto il Padre D’Orelles:— Come vi trattano? siete soddisfatta, vi manca nulla, desiderate qualche cosa? — mi ha chiesto premurosamente.

— Mi trattano bene, zio. Mi occorre guarir presto… Quando gli dico «zio», il suo viso si illumina, pare ringiovanirlo.

— Ti senti molto debole? Ti affatica parlare?

— No, zio. Se volete… parliamo.

— Ti rincresce occuparti un poco delle… cose nostre? C’è… c’è anche qualcuno che vorrebbe vederti…

— Roberto!? — ho gridato sobbalzando sul letto. — No — zio — ora non voglio vederlo — vi prego… voi non sapete una… cosa… che cambia totalmente le mie vedute…! zio, io… non sono più… madre!!

— Allora, ciò che mi narraste…

– Era vero, era vero. Ma poi… in seguito ad uno spavento provato…

— Quale, dove?!

Studiavo la menzogna… perché non potevo dire che Henry era morto tra le mie braccia…

– Alla ferrovia, ove poco mancò che non fossi sfracellata da una macchina.., per mia imprudenza…!

— E qui non mi hanno detto… nulla! — ha mormorato con inquietudine.

— Oh! qui… hanno creduto si trattasse d’un’emorragia — ho risposto timidamente e con vergogna… — per lo meno sentii questa parola! — Non so se per discrezione… o che…

Padre D’Orelles deve possedere una volontà imperiosa che s’impone alle sue impressioni pii forti — poiché non ha dato alcun segno d’emozione. Ha riflettuto qualche minuto — poi passeggiando intorno al mio letto, ha ripreso l’argomento che a me dava tanta pena:

— Rina, appena uscirete di qui, riprenderete domicilio al palazzo Brighten — vi assegneremo un appartamentino libero. Non vi consento più quell’indipendenza di cui la vostra giovane vita non sa ancora servirsene. Dopo il vostro matrimonio, potrete vivere a vostro talento — ora, no.

Io mi sono seduta sul letto, appoggiando la schiena ai cuscini — un lieve sudore ha bagnato la mia fronte:

— Zio, il matrimonio non si farà — ed io non tornerò al palazzo — non sono più minorenne…!

– Che dite?! — ha chiesto con profondo stupore.

Ho replicato come era mia ferma risoluzione.

La mia voce, benché debole, ha risuonata recisa e decisa — come per una risoluzione irrevocabile.

– Rifiutate d’essere la moglie di quel Roberto che avete amato, rifiutate di brillare nella più eletta società, che volete fare dunque?!

— Né un gran nome, né gli splendori d’una società che ben conosco, hanno alcun fascino sopra di me! — ho risposto con tristezza.

— Non amate il gran mondo, Marina?!

— No, zio, proprio non lo amo, anzi lo fuggo! Lo fuggirò, se permettete.

Un lampo di gioia ha brillato nelle sue pupille — mi ha guardata col compiacimento con cui l’artista deve guardare la sua opera.

— Allora, Rina, ti do un consiglio.

– Sí, zio, datelo pure.

— Ritirati in un convento. Tu che hai amato san Francesco e santa Chiara, segui la loro orma: hai veduto ciò che può dare la vita nelle sue torbide gioie!? Disgusto… disgusto!… elevati, elevati! innalzati a quel Dio, che è tutto amore… strappati a questa nostra miserabile carne. Togliti da quel turbine che finirà ancora col sedurti, per lasciarti di bel nuovo pii disillusa e tediata! Prova le pure ebbrezze di santa Teresa, di santa Caterina, e di tutte le anime che ancora rivestite di queste nostre forme mortali, pure seppero completamente spiritualizzarsi! Staccati dalla materia, ebbero comunicazioni colla Divinità… E tu fanciulla affamata d’amore infinito, solo Iddio infinito può dar pace al tuo cuore. Rinchiusa nella tua cella, il nostro Cristo ti aprirà le braccia. Quelle non tradiscono, quelle non ingannano!…

In quel tono ha continuato ancora — esaltandosi e commovendosi. Io lo trovavo un poco grottesco, la mia debolezza m’impediva di sentire qualsiasi slancio — però ascoltavo con attenzione — seriamente, non come un tempo in cui l’ascoltavo per deriderlo…

— Lascierete alla Chiesa la vostra sostanza affinché possa…Permettete, permettete zio, non mi farò monaca, non lascerò alla Chiesa, quella che voi chiamate mia sostanza.Non potrei più offrire a Dio un cuore puro e la sostanza intendo occuparla altrimenti, sempre che sia libera di disporne come mi dichiaraste.
— Così ho detto un po’ concitata interrompendo le sue esortazioni e suggerimenti!Credevo vederlo incollerito, invece ha scrollato la testa mormorando:
— Siete proprio figlia di mio fratello!Voi me lo diceste! Padre D’Orelles!— Allora?!…
— Consentitemi una tregua; — in questo momento ho bisogno di riposarmi di tante emozioni. — Intendo pure portare il lutto per Henry De Liverstone al quale ero affezionata.Eravate affezionata?! Ma sua sorella non doveva sposare Roberto?
— Sí, sì… ma non ha nulla a che fare. Sir Henry era un nobile cuore e Miss Dolly pure e non li dimenticherò mai.Non vi capisco, non vi capisco! Voi non siete logica! Nel vostro cervello c’è squilibrio… Voi dovrete sottoporvi ad una cura, consulteremo…Nessuno, nessuno!
— Presa da indicibile sgomento mi sono ricordata di cose orrende scritte sul conto dei gesuiti.
— Mi voleva forse far passare per pazza?! Sotto quella scorza bonaria vi era forse la crudeltà ed il fanatismo? La diffidenza mi riafferrava…Perché mi guardate con tanto terrore? — mi ha chiesto subito. Ed io, storditamente:

— Pensavo che di voi il mondo ha detto, pensa e dice ogni orrore… perché vi accusa, perché vi odia?…

Ed egli con dolcezza:

— Noi abbiamo per nostro scopo la gloria di Dio, l’esaltazione della Chiesa, l’eterna vita ed il bene del prossimo. — Non si odia noi, ma la fede e la Chiesa di Cristo; il mondo non odia noi, ma…

Poscia è rimasto assorto in profondi pensieri ed io ho ritrovato la mia calma. — Che fosse cosí, come diceva?! Probabilmente esageravano d’ambo le parti…

— Eccovi un credito aperto alla Banca d’Italia e colla Nazionale di Londra. — Iddio vi assista. — Dove andate? Mi terrete sempre al corrente…

– Viaggerò per qualche tempo… Zio, abbracciatemi! …

L’ombra nera si è ricomposta; fredda e severa, ed è uscita ossequiata profondamente dalla suora e dalle infermiere accorse ai suoi ordini…

— Sorella?!…

– Signorina?!

— La cucina economica è sempre accesa?

– Sempre!…

– Favorite gettarvi queste lettere ancora chiuse.

Ed ho sorriso immaginandomi i contorcimenti dei foglietti leggermente azzurri in preda alle fiamme, poi ho riletto una lunga lettera di Nina Sambise piena d’amarezza e di rimpianto ove spiega la croce che comincia a portare! Lo intuivo, povera Nina! Ora rimpiangi la tua vecchierella, la tua povera casa col cortiletto ruvido ed il vecchio pozzo… ma colla tua mamma accanto, col suo amore profondo ed indistruttibile…

Una lettera di Rina Darelli dice:

… avevi ragione! Egli è un miserabile! Ho scoperto che si è fidanzato colla figlia del generale… — Sono andata a snidarla, questa signorina; le ho detto il giuramento fatto a mio padre cieco, gli obblighi che ha con noi… Mi ha derisa ed ingiuriata!

E Napiero scrive: …Egli mi tormenta, mi tratta da stupida, ma io sto paziente… Se posso sposarlo, dopo faremo i conti!…

Poi tanti biglietti d’augurio…

Miss Dolly ripete i suoi inviti: … venite, venite parleremo di lui che ci amava e che noi amiamo… Mio padre invecchiato da vent’anni… Venite qui per sempre, io sarò vostra sorella, mio padre sarà pure padre vostro… Dio mio, Dolly! Se sapeste che Henry l’ho ucciso io, con le emozioni d’amore e di dolore che gli ho dato contemporaneamente!

Da due mesi Miss Dolly, io, ed una governante, viaggiamo ininterrottamente. La nostra amicizia si è fatta più calda, più intima. Ci comprendiamo a meraviglia, ci siamo affezionate di quell’affetto che nasce dalla stima e dalla conformità di sentire. Ella è buona, generosa, gentile. D’un tatto delicato ed ammirabile; è il vero tipo della gentildonna inglese. Sovente lasciamo all’albergo la governante, e ci slanciamo all’assalto di qualche vetta faticosa e pericolosa, oppure ci perdiamo nei boschi, raccogliamo fiori e foglie, già abbiamo fatto due splendidi erborari dipinti; qualche acquarello, paesaggi, avanzi di castelli feudali e quando c’è la vena, scriviamo qualche poesiola in inglese per il mio album, in italiano per quello di Dolly. Ieri abbiamo trovato sulla piattaforma del Righi a i 800 metri sul livello del mare, un girovago con un cannocchiale che ci ha permesso d’ammirare uno dei panorami più splendidi delle nevi eterne, iridate dai raggi solari; i torrenti che uscivano dai ghiacciai precipitando negli oscuri abissi; ruderi giganteschi e tanti laghi e tante meraviglie della montagna che ben comprendo come avessero affascinato il Conte Federico ed il mio padre adottivo. Ad Arth avevamo preso la ferrovia che guida sul culmine del Righi. Miss Chaterine, la governante, impallidiva vedendosi sospesa sopra gli abissi. Tremava e guardava noi, esterrefatta della nostra tranquillità e del nostro entusiasmo per quegli splendori che ci mostrava la natura, stupendamente artistica, capricciosa e varia.

Dolly ed io non ci saziavamo d’ammirare; estasiate — prendevamo continue istantanee — inebriate di quanto vedevamo intorno a noi e sotto di noi. Miss Chaterine si è quietata solo nel grande salone dello Schreiber, intorno alla buona tavola, un pranzo eccellente, una compagnia elegante, fine, e spigliata. Quasi tutti inglesi e tedeschi. Io, da innamorata del cielo come fui sempre, ho potuto vedere lassù qualche cosa che il pensiero non può tradurre. Ah! se avessi potuto fissare tutti quei colori cangianti a cui nulla può rivaleggiare in lucentezza e gradazione! Ho ammirato sopratutto le gradazioni del verde, dell’azzurro, dell’oro e della madreperla, del viola al rosso granata.

Tra le bianche cime ed i frastagli azzurri qualche lembo di cielo pareva sorretto da gigantesche coppe di marmo tutte arabescate negli orli. E le ombre? qualche cosa di originale che faceva pensare al sopranaturale. Ho acquistato dei bellissimi edelweiss, il simpatico fiore che pare senza vita e fabbricato con stoffa vellutata. Raccolte in una pesante sciarpa di lana, Dolly ed io ci siamo trattenute alla finestra, nell’ora del tramonto. Nel salone di lettura suonavano il piano e ci giungevano alcune voci in differenti lingue. Ho appoggiato la mia testa su quella della mia compagna. Ella aveva gli occhi umidi, il suo visetto smunto mi pareva mortalmente triste. Mi è sembrato uno di quei fiorellini rosei inodori, che io strappavo alle roccie di ritorno dalla collina e dimenticati senz’acqua nell’Ebe negra, reclinavano i loro petali dissanguati senza l’alimento…

— Soffrite, Dolly? le ho chiesto con tenera voce. A che pensate?!

— A tutto ed a nulla!, mi ha risposto con tristezza. E voi?!

— Io? Potrei dirvi altrettanto, però proprio in questo momento rammentavo la fine dolorosa del povero Conte Federico di Brighten insieme al mio povero padre, nei ghiacciai… presso ai ghiacciai d’Aletsch… una cosa orribile, vi pare? Pensate Dolly!

Ho sentito che al nome di Brighten, ella trasaliva, poi ha sospirato profondamente. A voce sommessa le ho detto:

— Dolly, infine.., meglio ancora perire nei ghiacciai, nei precipizi, in quegli abissi che affascinano colla loro orrida bellezza, che vivere senza amare, senza aver pii nulla da amare, ne convenite?

— Avete amato molto il povero mio fratello? — mi ha chiesto lei.

Ho esitato un momento, profondamente turbata. Che dirle?

– Era molto affezionata, in qualche momento l’ho adorato, in qualche altro mi pareva un gentile conoscente e nulla pii. Compatite il mio temperamento. Mi biasimate?

— Ma no… Vi capisco. E… anch’io… sono… mutevole, cangiante, mi accendo, mi spengo e mi riaccendo!… Cioè… era cosí, ma poi…

— Davvero, Dolly? Anche voi sentite alla mia maniera?

— Probabilmente! Ma vedete, quando giunge l’amore vero, allora…

– Allora? continuate Dolly.

– Vedete quella stellina tanto graziosa, fissa e tremolante?

– Sí, è la mia stella preferita, che io considero come un solitaire scintillante ad un bell’orecchio femminile. E13-bene?

— Strano paragone il vostro! Ebbene io la considero invece quale il vero amore. Bello, fisso e tremolante, ma immutato come quella!

Poi è scoppiata in pianto, nascondendosi il viso col fazzoletto dai fini merletti. Io tremavo presa da una subitanea angoscia e da un dubbio:

— Dolly, Dolly, allora.., amavate così, amate così Roberto di Brighten? Le ho chiesto con ansia, ditemelo, vi farà bene! Mi ha accennato affermativamente: lo amava, lo amava ancora!

— Ve lo confesso a mia vergogna, — mi ha detto con timidezza. — L’avete riveduto, Dolly, dopo… d’allora? — No, più! Mai più! E se lo rivedeste?! Ah! Non vorrei rivederlo! Già lo vedo troppo mio malgrado, col pensiero; mi pare che la sua bella testa ricciuta e nera sia li, prossima a toccare la mia! Sono spregevole agli occhi vostri? ditemelo, amica mia… O povera Dolly, gli occhi miei sono quelli di una sciagurata! La confessione del vostro amore tenace mi ha dato un colpo di pugnale al cuore! Non sono dunque distaccata da Roberto come mi pareva di esserlo? Ho preso un’espressione ferma ed affettuosa. Io ho difeso l’assassino con una filza di paradossi e di dottrine elastiche di cui non mi credevo capace: Dolly, assolvetelo! perdonatelo! consentite a voi stessa di amarlo ancora e vi sentirete meglio, credetelo! Non vi dibattete. Lasciate che il vostro cuore segua la sua inclinazione, coraggio, mia cara: l’avvenire non sappiamo che cosa ci riserba —. Ho continuato in questo tono sin che ho veduto Dolly riconfortata. Voleva prendere il tè, ma io le ho chiesto il permesso di ritirarmi. Mi sentivo il bisogno di essere sola perché soffocavo!

Quella camera d’albergo mi è sembrata piena di fantasmi! … Ho acceso tutti i lampadari come potessero difendermi e mi sono buttata nella poltrona. Era dunque nuovamente imbevuta dall’antico veleno? Ma ora no! no! non avrei ceduto alla mia miserabile carne! Ho scacciato con tutte le mie forze il pensiero di Roberto e delle passate ebbrezze, obbligando i miei occhi a rivedere il povero Henry, morto tra le mie braccia, ancora anelante d’amore, ancora vibrante di voluttà, poi il mio risveglio orribile, i miei capelli incanutiti nelle tempia, quale ricordo eterno del terrore! E la mia fuga, il mio voto, la mia promessa: se giungevo alla mia casa senza essere rintracciata, promettevo a Dio di vivere casta. E nessuno cercò… la donna: nessuno ne parlò… Era passata come un’ombra! Dio mi aveva esaudita! Poi troncò il legame che mi univa a Rob…! Ora, Signore, difendetemi da me stessa, fate tacere questo mio sangue che gorgoglia bollente, che tende a travolgermi, che mi dà gli impeti a cui non si resiste; impeti della belva innamorata! Impietrite questa mia carne, questa mia indomita carne, calmate questa eterna fame d’amore…! Ho pianto anch’io, non come Dolly; ho pianto con quella violenza che ha l’uragano quando sbatte e schianta gli alberi più forti, come fossero pagliuzze.

A capo del letto il mite volto della Vergine Santa, coperto il capo d’un drappo turchino scuro, gli occhi abbassati, curva e mesta, pareva compiangesse le mie pene ed abbassasse lo sguardo per non vedere la mia perversa, empia figura, sotto la sferza della passione! Allora è ritornata in me la pura fanciulla dei dieci anni; sono scivolata in ginocchio ed ho mormorato: Ave o Maria, piena di grazie. Salve o Regina, madre di misericordia; guardatemi, guardatemi, non mi private del vostro sguardo, guardatemi, vi supplico con tutto l’ardore del mio cuore, non r gite da me!

La fissavo con occhi ove luceva tutta l’anima! Allora ho avuto l’illusione perfetta che quelle palpebre, nella tela, si muovessero, e ne uscisse un raggio sublime d’amore, e mi sorridessero infinitamente tenere, avvolgendomi in una divina carezza… Sono stata felice.., tutto il mondo era scomparso, e sono svenuta!

Nel mio piccolo pied-à-terre ritrovo l’heuchera rifiorita, le rose stanno sbocciando, le mie piantine sono in tutto il loro splendore. Le rondini già ritornate; sento il loto gaio zinzilulare. Nell’orto delle monache i melograni sono carichi di frutti tenerelli e v’è una vera orgia di rose al posto dell’antico fico. Il vecchio giardiniere sta raschiando il fieno secco. Camicia-azzurra l’hanno messo in collegio e domani Totillo seguirà Miss Dolly. Ella lo ha desiderato perché sa chiamare Roberto, l’ho capito subito. Lo farà educare a Londra e parlerà come un oratore alla Camera dei deputati! Dolly m’assicura che colà esiste un professore che fa parlare i pappagalli, ed in tutte le lingue! Addio dunque Totillo, non vedrai forse mai piú la tua Marina che hai salvato… E dovrò dare addio a queste mie camerette ove ho assaporato la libertà subendone le vertigini! Lascio qui sepolti tutti i miei capricci, la mia sensualità, la mia vanità femminile, le mie grida, i miei sogni, i miei amori, le mie ansie! Tutte le mie aberrazioni, le mie speranze… La mia arpa è velata di nero. Ho telegrafato a Roberto che venga perché ho bisogno di parlargli. Egli verrà fremente di passione ed io debbo essere di gelo…! Domani arriverà qui. Ah! poiché io abbia la forza di giungere al fine che mi sono proposto, al sacrifizio a cui mi sono impegnata con me stessa e con Dio!…

La casina del dottor Steno è affogata nel verde e nei fiori. I boschi vicini mandano un profumo vivificante! Ciuffi d’erbe spuntano tra i sassi delle viottole, fra le pietre, le gramigne ed i radicchi selvatici, la menta odorosa e tanta cicuta… dovunque. Le fratte sono così grosse e rigurgitanti che quasi ostruiscono il passaggio. Campicelli di papaveri bianchi, grandi ciuffi di margherite e di anemoni, rosolacci, acacie fiorite, ortica e tanta edera, così nella stradetta che taglia i campi e guida alla palazzina rossa con le persiane verdi. Ho sorpreso il buon dottore, seduto all’ombra d’un magnifico albero esotico, tutto color ciclamino, come un bouquet gigante sul quale facevano bottino uno sciame d’api, di moscerini e di farfallette, bianche e mordorè, un vero popolo affamato e spietato.

– Siete immerso nella politica? gli ho chiesto alle spalle. (Non m’aveva veduta).

Il giornale è caduto dalle sue mani che lo tenevano con interesse:

— Voi?! signorina! Quale cara sorpresa mi fate. Benvenuta! Benvenuta!

Io ho studiato il suo viso per scoprirvi se la mia presenza gli dava una forte emozione, se aveva sofferto per me, difatti capivo benissimo lo sforzo che faceva per apparire calmo.

– Mi avete perdonata? — ho chiesto tenendo gli occhi bassi e con profonda tristezza.

– Perdonata? Non è molto propria la domanda. Ho provato un forte dispiacere, ma trovavo lodevole il vostro agire. Era giusto che sposaste il padre…

– Non sposo più; mio caro dottore! Non sposerò mai nessuno! Volete essere per me un buon amico, un fido consigliere per tutta la mia vita? Non sarò più madre, come vedete, inoltre ho ereditato un modesto patrimonio (questa volta era vero) che desidero amministrare io stessa ed impiegarlo in una opera di pietà… Volete essermi di sostegno morale?

— Certo! Ma tutto ciò che accade in sì breve tempo, sa di sogno per la mia vita come lo sarà maggiormente nella vostra! Non è vero? Ne sono stordito! Consentitemi che ritrovi.., me stesso. Non ditemi scortese, vi prego di accomodarvi in saletta. Celestina vi servirà un rinfresco. Io vi raggiungerò tra pochi minuti, scusatemi, compatitemi.

Gli ho sorriso e la mia figura vestita a lutto si è mossa lenta e pensierosa nel piccolo viale dei tigli. Andavo col passo che hanno le suore quando passeggiano nell’orto con le educande. Mi fermavo a guardare le belle piante dai pomidori d’un rosso vivo di corallo come le creste dei galli nel pollaio. Le pesche mature, due alberi nani di me, le grossissime; un susino carico di frutti violacei, brinati d’azzurro, che mi hanno ricordato quelle famose di coi parlava Nina Sambise, nel suo paese. I fagiuoli arrampicanti ed alcune cucurbitacee del più bel giallo d’uovo.

L’orticello qua e là ornato di vasi con gerani, garofani ed erba cedrina. Vi spiccava tra il verde un qualche fiore, tutto intonato, armonioso, e la piccola uccelliera coi canarini e fringuelli ed altri graziosi provenienti da lontani…

Mi sono commossa, ed ho sospirato di rimpianto! Anche li, forse, era la pace era la felicità!…

— Il vostro programma è certamente nobile e generoso, ma mi pare che vi prepariate un grave peso da sopportare, mi ha detto il dottor Steno, io ammiro il vostro spirito di carità, ma… ascoltate; vi siete approssimativamente immaginato ciò che può costarvi finanziariamente? Io non sono competente, tuttavia, ad occhio e croce, mi pare debba occorrere un forte capitale. Sono indiscreto se vi chiedo di quanto potete disporre? Ho risposto pacatamente e brevemente:

— Circa novecentomila lire.Egli è sobbalzato e mi ha guardato per vedere se parlavo seriamente.

— Ma no, caro dottore, non sono pazza! La mia eredità è di cinquecentomila lire poco più o poco meno; le altre quattrocento sono d’una Miss inglese, mia amica, che intende associarsi alla mia opera di carità. Anzi voglio figurare che l’asilo sia tutto opera sua, perché io non bramo rumore intorno a me, né dare altre spiegazioni al mondo. Sarà edificato sul tipo d’un asilo che ammirammo a Sannazzaro in Lomellina. Opera dei nobili coniugi Conti An-tona-Traversa…

Calcolo sulla vostra cooperazione morale ed anche materiale, perché se i miei orfanelli saranno ammalati voi li curerete, non è vero? Sarete il nostro medico, vi nomino sino da questo momento, se accettate! Ho visto che piangeva. Nulla è più commovente per me di un uomo che piange! Mi sono intenerita anch’io e per un momento nessun dei due ha potuto parlare. Io guardavo il tappeto del pavimento ed il dottore si è voltato verso un busto di Mazzini. Invano tentavamo di nascondere l’un all’altro, i nostri occhi pieni di lagrime dolcissime. Quando ha parlato di nuovo io mi sono scossa come da un assopimento, in cui ricordavo il mondo come veduto sotto densi vapori. — Vi ammiro, vi ammiro. Vorrei potermi associare anch’io, ma io sono povero. Soltanto… non riesco a comprendere perché voi volete sacrificare tutta la vostra giovinezza, ha detto con visibile sforzo. Io debbo espiare! dottore, il resto della mia vita sarà per…
— Voi? Che cosa dite? Purtroppo, vi dico la verità! — Ma non posso credervi, siete ancora una bambina, guardate questo vostro viso, non è quello d’un dolce fiore? Che male può aver fatto? — Dite piuttosto come un fiore di cicuta. Anch’egli appare bianco e delicato. — Non mi persuaderete mai, ha risposto tentennando il capo, non siete colpevole, oh no! Eppure! Sentite, dottore, andiamo a fare un giro nei boschi? Vorrei mi accompagnaste dall’Assunta, spero che accetterà il posto che le assegno. Ella starà benissimo in portineria. Credete?

Che magnifica quercia! ci riposeremo qui qualche minuto… se non vi dispiace.

— E rifletteremo… Non vi pare la quercia del Tamo, signorina?

Ci siamo seduti sopra grosse sporgenze calcaree. Alcune noci col mallo verde, erano rotolate nel fossatello asciutto, buttate là dal vento, tra i sassi d’ogni grossezza e colore, soltanto in quel momento il dottore si è meravigliato del mio lutto, prima non l’aveva neppur veduto, povero buon dottore!

– Per un parente?… Un nuovo dolore?

– Sì, un fortissimo dolore!

Non ho detto di più, poi improvvisamente, tornata fanciulla spensierata:

— Oh! Quanto è carina quella piccola lucertola, vedete? Mi guarda!

— È affascinata dai vostri occhi azzurri!

– Vorrei averla io!

Mi riprendevano i miei capriccetti infantili…

– Dottore, mi raccogliete dell’edera, e un po’ di fiori di montagna, guardate là… più in alto… sono belli, ma non sporgetevi cos! No, no… venite, venite… mi avete fatto paura!

— Ho avuto la tentazione, per un momento secondo, infatti!

— Mi avreste fatto impazzire! Pensate invece quanto sarà bella la nostra tenera amicizia, quali dolcezze ci potrà dare. Mi porterete Giorgino nelle vacanze?

Egli ha sospirato asciugandosi la fronte col fazzoletto… poi ha detto timidamente:

– Perché non ci volete più? Oh se almeno mi diceste perché mi avete lasciato credere ancora alla felicità per strapparmela poi! Perdonatemi, ne ho sofferto, tanto sofferto perché mi… foste cara dal giorno, cioè dalla notte che vi trovai svenuta al Crocevia, ma non l’avreste mai saputo senza la circostanza che vi metteva in una situazione disgraziata… Il resto è inutile ricordarlo. Anche voi mi dimostraste della tenerezza; una promessa formale, tutto era stabilito e mentre mi preparavo a rendervi la vita più bella che potevo, mi giunse la vostra lettera! Poi siete sparita! Poi vi ritrovo a propormi una affettuosa amicizia! Vi ripeto, perdonatemi, ma credete che c’è da far pazzo l’uomo più equilibrato! Perché non mi svelate ciò che vi riduce a questa decisione? Potrei almeno rassegnarmi! Vi prego, per quanto avete di piú caro, datemi questa soddisfazione!

Il mio infame temperamento tornava a galla! Vedendo quell’uomo così disfatto, mi urtava, dimenticavo quanto gli dovevo ed i suoi generosi sentimenti per trovarlo piccolo e meschino in faccia mia. Mi sono dominata, desiderosa di vincere la mia indole bizzarra e gli ho detto con grave semplicità:

— Ho giurato sul cadavere d’un uomo che ho amato. Non sarò più di nessuno, vi basta? — Del quale portate il lutto?

– Avete indovinato! E… quell’uomo, io l’ho ucciso! — Mi è sfuggita la frase come avessi parlato solo a me stessa… ormai dovevo dire ancora! — L’ho ucciso con l’amore e col dolore! Ecco perché voglio espiare! Ed ho detto tutto, mio buon amico, ora basta per sempre… Ah il grano, quanto è bello! Vorrei mietere colle contadine! Sentite come cantano, sono felici nella semplice vita dei campi…

Camminavamo a stento per le viottole strette intricate dalle verdi fronde abbracciate alla cima; dal serpeggiare dei vilucchi e delle edere. Ho confessato al dottor Steno tutte le incoerenze del mio sentire. Ditemi francamente, credete che davvero sia pazza? Voi potete dirmelo! — Pazza, no. Io vi ritengo ammalata d’isteroneurastenia. Ciò spiega benissimo tutte le vostre esaltazioni e contraddizioni di cui mi fate un breve riassunto. Nel vostro caso, avrei consigliato il matrimonio: è il medico che parla, ma non posso contrariare il vostro divisamento perché vi farebbe dispiacere, non è così? Possiate dunque trovare nella vostra nuova vita di sacrifizio e di abnegazione quella pace del cuore che vi abbisogna… ma ne dubito, non lo dico per scoraggiarvi… Egli ha parlato ancora su quel tono, ma io non lo ascoltavo pii, sfrondavo colla destra la siepe di acacia, ne strappavo le foglie tenere e le buttavo all’aria come avrebbe fatto un monello, imbrattandomi di verde il palmo della mano:

Così, vedete? Così come quelle fogliuzze… strappo e disdegno i sogni vani e le effimere soddisfazioni del mondo! Poi ho riso lungamente, come una fanciulla allegra e spensierata, ancora ignara delle torbide passioni. Col piede ruzzolavo i sassi pei declivi…

Mi sono vestita modestissimamente. Il mio abito da lutto mi dà l’aspetto d’una giovane suora, nessun ornamento, nessuna impronta di vanità femminile. Ho la fisionomia dolce e grave, lo sguardo sereno, la bocca pallida come una rosa thea. La mia persona ispira rispetto, saprò tenere a freno Roberto anche solo con l’espressione del mio volto, e spero di mantenermi calma anche alla sua presenza… Il mio salottino, privo di fiori, non è più gaio come un tempo ed un grandissimo quadro Il Redentore copia del Tiziano, ha preso il posto momentaneo del ricco ceppo di madrepora e del trofeo d’armi…

Mentre guardo la pendola e l’ora s’avvicina, il mio cuore batte più rapido ed il mio respiro si fa più frequente. Roberto arriva, viene, non sa ancora perché l’ho chiamato!

In questa ora sì decisiva per entrambi provo un sentimento di compassione per cotesto uomo veemente, appassionato, indole selvaggia che non conosce barriere e che traverso le sue follie ha continuato ad amarmi! Forse difficilmente potrò piegarlo alla condizione che sto per proporgli… Mi fa pena! È vero, Roberto mi fa pena! Perché in fondo in fondo anch’egli sarà un infelice!

Marina! — Egli mette tutta l’anima in quella parola e si avanza vacillando verso di me, guardando avidamente se le mie braccia si aprono per accoglierlo! Ma le mie braccia restano ferme lungo il mio corpo, il mio viso si fa ancora più mesto e grave, solo i miei occhi umidi parlano dolcemente… Roberto si ferma, in attesa delle mie parole… che tardano, che non riesco a far uscire dalle mie labbra semiaperte e tremanti… Siediti, Roberto. L’invito con tono gentile e triste. Egli siede nella pol- trona ed io sul divano. Cerco riordinare i miei pensieri, le mie idee. Il bel discorso che mi era preparato non lo rammento più e non oso… guardare Roberto… perché ho paura, paura!… I suoi occhioni neri, il suo pallore caldo, la sua bella bocca rossa dai piccoli baffi frementi, la bella testa ricciuta… mi dànno un brivido che sconvolge il mio cuore ed il mio cervello. Alzo gli occhi verso Il Redentore per attingere un poco di coraggio, finalmente con voce esile mi decido a dire: — Vedi in me sorella Chiara… Solo sorella Chiara…! Ascolta Roberto, e credimi! Ho deciso di rinunciare per sempre, come t’avrà detto il Padre D’Orelles, a tutto ciò che si chiama «piaceri della vita» non chiedermi le ragioni, sono tante e cosí gravi che nemmeno potrei dirtele nel loro giusto valore! Non interrogarmi, ti prego! Ti ho perdonato tutto ciò che hai fatto, avevi ragione nel dirmi che la mia ignoranza della vita ingigantiva le cose. La tua colpa era minore di quanto io la valutava e cos í oggi mentre io ti prometto di rinunciare per sempre al mondo e di chiudermi nell’Asilo che ben presto inaugureremo, ti dico, Roberto, che mi sei caro come un fratello. Mi pare d’avere ancora dieci anni e tu dodici e d’essere ancora insieme vicini al verde stagno e tra le hidrangee fiorite, lieti festevoli o imbronciati per i tuoi capricci. Mi pare di sentire sul mio collo i lampiridi che tu mi buttavi e di correre tra i grossi cespugli o nel frutteto… Mi sei caro cosí come allora, Roberto! Accetta questa forma di tenerezza che è forse migliore della torbida irruenza dei sensi e tu dimmi che ritornerai a… Dolly… povera… Dolly… ti ha… tanto a…ma…to, ti ama da… morirne. Io… ti sarei… grata… per… sempre… se tu… facessi… di lei… la… tua… sposa… come era convenuto prima del tuo… diverbio… con… Sir… Henry… — Marina! Tu!? Vuoi questo da me!? Sei tu a pregarmi? Ma questo è il più orribile castigo che tu possa infliggermi! O cara, mia cara, mia bella diavolina, mentre puoi essere tu la mia sposa adorata, mi offri Dolly! Mi offri Dolly! Marina, non ricordi più la notte al Lido?… Spogliami Rob… Spogliami Rob… spogliami Rob… Ed i nostri amplessi deliranti, tutta l’ebbrezza, tutta la nostra felicità, non la ricordi più! ? Non la senti più nel tuo sangue!? Eppure vedi quanto siamo giovani, quante notti ancora come quella di Venezia ci resterebbero… e quanti giorni ancor più belli…

La voce di Roberto mi pare una musica; mi sento rapita dalle sue tenere parole, sono soggiogata… Ma alle parole «come quella di Venezia» di recente tornata alla realtà, mi è sfuggito un piccolo grido! Roberto ha creduto che fosse per le nostre ore di felicità che egli revocava.

Oh no, no, non per questo! Mi è sembrato di vedere Henry in quell’altra notte d’amore e di terrore… Henry che mi ricordava la promessa di vivere casta per sempre! Allora mi sono irrigidita! … Quel cadavere era li… tra noi… più forte, pili vivo che mai, povero Henry da me ucciso!

— Non continuare Roberto, ti prego. Io non posso ascoltarti, nemmeno dovrei ascoltarti. Se tu non sposi Dolly non mi vedrai più. Se invece la farai felice troverai sempre in me la tua affettuosa sorellina. Ho deciso irrevocabilmente, risparmiami altre torture… Roberto, risparmiami.., pensa che un’altra vita ci attende in un mondo ben diverso…

I miei sforzi per conservarmi calma, per continuare nel mio proponimento sono enormi! E Roberto intuisce un mistero, la mia lotta, il mio orgasmo… Egli capisce, senza poter indovinare la segreta ragione…

Mi si è avvicinato e mi ha preso le mani con veemenza e mi ha tenuta stretta stretta guardandomi con occhi pieni di adorazione e di sottomissione:

— Ecco il tuo schiavo! Il tuo schiavo, Marina. Bene, farò ciò che mi comandi. Debbo sposare Dolly? sposerò Dolly. Che altro vuoi da me? Vuoi che mi uccida? Vuoi che mi faccia a pezzi innanzi a te, vuoi che mi sfregi, vuoi che io diventi un meschino lavoratore, vuoi che io mi faccia frate? Ordinami qualunque supplizio ed io, per te, lo accetterò!…

Il mio cuore si dilatava, la passione erompeva più forte ancora eppure il mio viso si conservava candido ed impassibile, senza svelare l’interno tumulto… — Taci Roberto. Ti ringrazio, ti ringrazio.., ma… ti ripeto sposa Dolly, sposa Dolly! Ripetevo in una semi-incoscienza l’ordine crudele per entrambi! — Sposa Dolly… Roberto, ritorna onesto.

— Giurami dunque, — egli mi ha detto… — per Colui che tu chiami Dio. Giurami per Colui che ha dato il sangue per un ideale, Marina, eccoti innanzi alla sua Immagine. Promettimi, giura, che nessun uomo al mondo, avrà da te alcuna carezza! Giuralo per i tuoi genitori morti! Io

non so altro di più sacro!… Giura dunque, Marina! Esiti?! Ah giuri! …

Va bene, va bene! Sposerò Dolly come tu pretendi da me! Vuoi che io ritorni un uomo onesto?! Mi proverò!

Mi sarai di nuovo… sorella Chiara, che mi irradia il sentire di fiamma viva? Ti chiederò carità di mie parole e tu le avrai! Le avrai? Dimmi che le avrai per me! o Marina, Marina, potrei avere cento donne, ma nessuna mi dà pni nemmeno il piacere dopo che ho avuto te, che ho amato te, che amo te! Sposerò Miss De Liverstone per farti cosa grata! Intendi?!! Unicamente per questo, perché ella ed il suo denaro mi sono completamente indifferenti. Ma tu, Marina pensaci, attendi ancora! Non temi che l’amore riprenda te pure allorché sarà troppo tardi?! La nostra ebbrezza, le nostre gioie passate, tu le rinneghi, le allontani da te! Perché!? Ah! se potessi penetrare da quella tua fronte bianca, entrare nel tuo cervello e carpirti il segreto che ti toglie a me! Sí, il segreto! Non posso credere diversamente! Qualcuno o qualche cosa si è frapposto tra noi; perché già ti piegavi, ritornavi mia; lo so… lo so! Ed ecco ti fai improvvisamente amica di Miss Dolly, viaggiate insieme e poscia me la butti nelle braccia! Rinunci alla vita, non sposerai nessuno mai! Questo tuo contegno è inspiegabile, è inspiegabile!… Mi parli come farebbe mia madre o il Padre D’Orelles! Tu, la mia diavolina innamorata, poi la mia feroce nemica che mi chiamava assassino. Ad un tratto diventa dolce, calma, fredda e pacata. Mi parli in un modo da far rabbrividire; come che la morte fosse qua pronta a mieterci di già… La vita dello spirito!! La vita dello spirito! ! Oh ma guarda quanto vale ancora questa materia che tu vuoi disprezzata, guarda queste braccia come sono forti per prenderti, per afferrarti, per difenderti, per sorreggerti, per strapparti a chi mi ti togliesse! Guarda i miei occhi ove scintilla tutto il fuoco della passione, questa mia bocca che ora si contrae di spasimo, pronta a dirti migliaia di volte al minuto che ti adora e che sei bella. Questo mio intero corpo vigoroso, saldo, pronto a darti l’ebbrezza dei sensi, questo mio sangue di cui vedi turgide le vene, che scorre impetuoso e ti chiama e vuole il tuo e si ribella, si ribella alla tua condanna! E tu vieni a parlarmi di un’altra vita, quando questa è ancora tanto tenace e tanto ancora può offrirci!! Io temo che vuoi farmi perdere la ragione! Non ti scuoti, non ti commuovi! Insisti ancora!? Bisogna che fugga prima che commetta qualche follia che mi dimentichi… ah bisogna che metta la mia testa nel ghiaccio o scoppio. Vado! Come mi hai torturato! Mi calmerò, certo dovrò calmarmi, ma ora vedi in me un disperato furente, che si contiene, che si domina a stento!… Ma guardami, guardami, alza gli occhi su me, vedimi… non puoi… non vuoi.., soffri anche tu… e resisti!! Oh maledizione a chi mi ti contrasta!… Addio; Marina! … Marinal…

Ho udito un singhiozzo soffocato che mi ha gelato il sangue, poi un rumore di passi… e la porta si chiudeva… poi nulla! O Roberto, Roberto! Ho gettato un grido, lungo, straziante, un grido non umano! Mi sono lacerate le vesti, strappati i capelli, coi denti ho frantumato, colle mani lacerato, spezzato, ciò che avevo vicino! Roberto, Roberto, Roberto! Chiamavo disperatamente! Improvvisamente dimentica del morto, del giuramento del mondo, di Dio! In preda ad una veemenza di passione che nulla poteva arrestare! Prona sulla pelle d’orso bianco, ove ritrovavo il profumo delle prime carezze, singhiozzando, morta, pazza, ubbriaca… Roberto, Roberto, Roberto!… con voce soffocata, anelante, così lo chiamavo ripetutamente con tale impeto nel cervello congestionato, con tale tremenda forza di desiderio, che la natura umana non può sopportare, non potevo sopportare! Era infranta, era divelta, divelta, divelta! Come il pino cui manchi l’acqua per il deviare della vena, a me mancava il sangue, deviato tutto al cuore ed al cervello, come quello muore, sentivo di morire! Il parossismo inaudito mi ha lacerata; ero tutta piena di percosse e battiture, cadevo, cadevo più volte sotto il peso della croce e non potevo rialzarmi. Mormoravo ancora Roberto, Roberto, con un filo di voce, un soffio, un sospiro, un gemito, un fremito impercettibile._ Anche questo chiedeva Roberto!… Mi rotolavo a terra, battendo la testa nei mobili, in procinto di spaccarmi il cranio nelle pareti. Completamente dominata dall’amore più forsennato, cieco, privo di ragione… Poi mi sono alzata! Sentivo nelle vene serpeggiarmi qualche cosa di misterioso, d’indefinibile, che mi rianimava, toglieva adagio adagio lo spasimo del dolore!… Estatica… sgomenta… indecisa._ ascolto… ascolto… mi comprimo il cuore; sento un rumore impercettibile… Ah! ma no, ma no… io sogno! dei passi, dei passi!? Se fosse… se tornasse… Ah non sento più nulla! Desolata, cado affranta, senza scosse, cado come ne piombo e mormoro ancora: Roberto… Roberto, Roberto ! ancora l’appello appassionato! Ah, qualcuno cammina per le scale… Un impeto, un turbine, una vampa… mi precipitoc’incontriamo ed afferriamo deliranti, quasi dovessimo ucciderci l’un coll’altra… Continuo convulsa… a mormorare Roberto ed egli a dire Marina. Solo, solo con i nostri nomi entrambi assassini, entrambi pazzi… pazza dall’amore che conduce anche al delitto! Non ci baciamo!… Le nostre labbra sono attaccate, ferme, immote., suggellate sulle nostre guance. Non potranno staccarsi mentre le braccia stringono con una forza centuplicata come dovessimo spezzarci; ridurre in un pugno il nostro corpo ed assimilarlo reciprocamente!… Poi, dopo chissà per quanto tempo, abbiamo avuto bisogno di guardarci per vedere se eravamo proprio noi! Erano proprio le nostre due teste così diverse e così belle, vicine, inebriate! E, cosa strana! i nostri sensi tacevano, era veramente l’anima che vibrava! Ero felice di questo, felice di trovare altrettanto in Roberto, i nostri occhi splendevano di una luce di paradiso… Eravamo puri nel trasporto del nostro amore; puri, esultanti, felici e disperati! … — Sarai la mia sposa? Adesso non puoi più negarmiti, ora che so quanto mi ami ancora! — Ti amo, Rob, ti amo, ma non posso, non posso, non posso. Perdonami, perdonami! … Mi sono trascinata ai suoi piedi sempre implorando il perdono — difatti io era ben colpevole anche verso di lui! Povero Roberto! se sapesse che sono stata anche di Henry e che lo ho ucciso! — Cosí mi vedevo tra i due uomini, io solo la più colpevole! Ho pianto tutte le mie lagrime… Ma perché Marina, perché questo orribile sacrifizio? — Un terribile mistero, Roberto! — Che io lo squarci? — Oh no, no! — ho gridato atterrita. E dunque, anima mia? — Ti amerò sempre Rob… ma… sposa… Dolly…! — Mi darai ancora dei baci, dopo che… — Ah che orrore, che orrore, Roberto! — mi pareva di vederlo con Dolly! Sposi! Ho avuto una crisi di disperazione selvaggia! — Roberto singhiozzava come un fanciullo tenendomi la testa sul petto e lisciandomi i capelli colla bocca e con le mani. — Mi pareva di morire! Mi pareva di non potere superare il mio intenso dolore! Ah se fossi morta d’amore e di dolore come il povero Henry! Almeno avrei saldato il mio debito col caro morto! Ed ora mi sentivo fra gli aculei piú pungenti, fra i caustici piú potenti, fra i tentacoli d’una idra spaventevole! Povera vita mia, povera vita mia! — Henry si ergeva tra me e Roberto. Il morto vinceva il vivo! Poi Roberto così vivo ancora nel mio cuore e nel mio sangue e nella realtà, dominava il mio vincolo ad una tomba… Ruggiva nel suo amore ferito e mi rendeva empia empia, affascinandomi nel suo ardore che dovevo respingere… Mi sentivo vedova di due… mariti entrambi amati! Entrambi traditi! Entrambi morti e sempre vivi! — Persisti nel volermi dare Dolly? — mi ha chiesto Roberto quando mi ha veduta più calma. Ho risposto col capo… affermativamente, perché se aprivo le labbra… temevo di me! Oh povero Roberto,
in quell’istante aveva perduto la sua balda giovinezza! Pareva un uomo di cinquant’anni. Ed io in quel decadimento momentaneo, non ho veduto che una riaffermazione nullità della nostra vita corporea. L’esigua nostra resistenza allo sfacelo.., alla disorganizzazione… Ho guardato od-la parete il bel quadro del Redentore. Un fascino soavissimo partiva dalla splendida testa dai capelli spioventi, dagli occhi di cielo. E quella mano candida… reggente le pieghe del manto, sul petto… quella mano mi avrebbe rialzata?! Ho sentito nel mio cuore ciò… che forse sentì Maria di Magda nel suo incontro col Nazzareno… Mi sono inginocchiata piamente, curvando il capo sino a terra; come che… anch’io… potessi baciare e lavare i piedi al Redentore, poscia asciugarglieli coi miei capelli… L’angiolo del dolore, colle ali tese sempre librate, lasciava cadere le piccole stelle ad una ad una sopra il mio capo; mentre le mie lagrime scendevano dall’azzurro dei miei occhi e dall’azzurro dell’anima mia!

Quando mi sono alzata, Roberto non c’era più…

La Contessa Garlendi ha ospitato Miss Dolly. Vorrebbe che anch’io abitassi con lei — ma io desidero rimanere nel mio piccolo pied-à-terre sino all’inaugurazione del nuovo edificio che sorgerà attiguo alla mia antica villetta già riacquistata. L’asilo sarà pure la mia casa per sempre e non ne uscirò che per opere di pietà. Dolly è raggiante! La sua gioia è per me come una rosa compressa sull’epidermide… Ne sento il profumo, ma anche gli spini! Non sa la parte che ho avuto nel suo riavvicinamento con Rob. Crede che abbia influito come una buona sorella e nulla più. Non saprà mai il nostro sacrificio! Henry, sei contento di me? Povero Henry! Tutto ciò che posso, ciò che dipende dalla mia volontà, vedi che io lo faccio! Vieni in sogno a sorridermi, ad approvarmi, a darmi il tuo bacio, così crudelmente interrotto, vieni a continuano casto, casto… soave, come quello d’un bambino per la madre che lo abbraccia. — Sai, mio Henry buono, ne avrò tanti tanti dei baci buoni e casti dai piccoli orfanelli abbandonati; poveri orfanelli, povere animuccie disperse che accoglierò nelle mie braccia e quei labbruzzi esangui ricambieranno i miei baci. Così potrò saziare la mia fame in amore, in un amore che nulla di agro mi lascierà nel fondo!

Gli equipaggi partono al trotto. Le autorità, la Contessa di Brighten, Roberto, Dolly e Padre D’Orelles — poi madame De Ferronis, io, il dottor Steno. — La Contessa Garlendi, la Marchesa De Aris con le signorine. — Il mio antico pretendente Conte Firmino con Don James. — Seguono tutti gli intimi di casa Brighten. — «La posa della prima pietra». Ci avviamo per cotesta cerimonia. I cavalli rallentano il passo nella salita. Io mi sforzo di non pensare! Vorrei che trottassero più forte e mi stordissero… mi impedissero di vedere! La via per me è seminata di ricordi che mi sconvolgono…! Il dottor Steno regge tutta la conversazione Egli mi indovina e sorregge. Qualche cosa più forte della mia volontà m’ha spinto a guardare Roberto. Egli, pallido, con gli occhi fissi su me, pare che con la potenza dello sguardo voglia strapparmi a tutti e trascinarmi con lui in qualche recondita plaga sconosciuta agli uomini!

Si passa al Crocevia di cara e triste memoria! Poi si piglia il trotto rapidamente.

La piccola cerimonia è compiuta, riuscendo semplice e commovente.

Tutti s’avviano al Castello. Io mi sottraggo alla comitiva, riesco ad isolarmi ed eccomi al mio verde stagno — tra le hidrangee fiorite! Il mio cuore si spezza! Ecco tutti gli antichi ricordi di fanciulla felice! Lasciatemi qui a piangere! Sono caduta’ ginocchioni sull’erba vicino ai kalds. O buoni genitori adottivi, o zio Germano… zio nero, nero, zio buono, mille volte buono, quanto vi amo, quanto vi amo! Che importa se non mi avete dato il sangue, la vita?! Mi avete amata, mi avete amata, non riconosco che voi… Ah quella madre che forse vive e non si cura della sua creatura, come posso ritenerla una madre? No, no, non voglio pensare a quella o divento pazza!

— Beneditemi voi qui: ove intendo amare, allevare, educare, i fanciulli privi d’amore ed abbandonati; i bastardi poveri o gli orfanelli miseri…

Avevo delle lagrime dolci, dolci, come quando la povera Matilde ricevette il Viatico, ed io piangevo — commossa per quel Dio che veniva ad incontrare la morente.

– Roberto, voi! Andate via, andate via! Presto, vattene Roberto, ti prego, ti scongiuro!

– Taci; un bacio, un solo bacio dammelo o mi sfracello il cranio qui innanzi a te! Marina, abbi compassione di te e di me! Vedo anche tu quanto soffri.., mia amata, mia amata! Se ti portassi via?! Ah che tentazione…

Egli era giunto alle mie spalle, prima che potessi sfuggirgli… Ecco, cercano noi; sento le voci; vengono. — Va, Roberto, per carità! Vedo degli abiti bianchi nel viale. Corri dalla parte opposta… Corri… addio! Altri baci mi ha mandato colla mano!… Non mai nelle nostre ore d’ebbrezza ho sentito la soavità di quel bacio d’addio… d’amore… di rimpianto… di desiderio e… di profanazione!

Il pranzo sontuoso al Castello, per me è stato tutto una tortura! Sempre tremando che Rob facesse qualche follia e mi compromettesse…

Poi il vecchio Conte Firmino ha potuto bloccarmi un momento e mi ha detto con aria trasognata:

— Ma siete veramente una donna voi, o piuttosto una fata? Rispondetemi, signorina.

– E perché, Conte?

– Perché? Dio Santo — chiedete perché?! Eravate una bimba aristocratica e vi siete fatta un’impiegata, poi mi abbagliate col vostro suono divino, deliziate tutti per un’intera serata che nessuno dimenticherà mai; poi viaggiate non si sa dove ed infine.., giovane e bella vi rinchiudete in un asilo con dei bambini pezzenti! Mentre… mentre… io…

— Capisco, capisco; non impaperatevi… caro Conte! Voi mi fate un po’ di buon umore di cui ho veramente bisogno in questo momento. Non sono una fata! Volete accompagnarmi sul Belvedere? Desidero eclissarmi per qualche minuto. Se rimango qui mi fanno suonare e non mi va, volete farmi da cavaliere? Sapete, Conte? Sono una donna, proprio seriamente! Quietatevi.

– Ah! bene, sarò dunque il vecchio Faust e voi Margherita. Se chiamassi anch’io Satana?… Satan… Satan… a me! … – Non l’incomodate, vi prego… tanto sarebbe inutile! — Se fossi giovane e bello?… – No, no; inutile, egualmente inutile!

Il vecchietto non sa capacitarsene! Ansante sale gli innumerevoli gradini del Belvedere scompigliandosi i 13 capelli abilmente preparati e non vuole dimostrare che il cammino gli è faticoso! Ritrovo un poco di giovialità!

— E voi, Conte, che cosa donerete al mio asilo?

— Tutto, tutto me stesso!

Oh diamine, veramente non saprei come utilizzarvi! Adibitemi a qualche mansione ove possa vedervi, intendiamoci! Cos i ridevo col vecchio sempre arzillo; il mio cervello si spiana si riposa, i nervi si quietano, ritrovo la mia calma e la mia ragione. Ci hanno veduti sul Belvedere e tutti sventolano i fazzoletti gridando: — L’ha rapita, Conte?! Evviva gli sposi! — Cosíì scherzano tutti non sapendo quale ferita vanno toccando e fanno sanguinare! … Tutti sono allegri — ho l’obbligo d’esserlo anch’io! Avanti dunque mio misero cuore! … Ho cantato, suonato, chiacchierato e giuocato, ma non ho voluto saperne di spiritismo. Volevano una seduta_ Tutti insistevano, ma io ho resistito. No, più, mai più, non voglio saper più nulla! Miss Dolly, malgrado la famosa seduta che lacerò il suo cuore ed anche il mio, vorrebbe ancora parlare col mio amico d’oltretomba. — Mi rifiuto anche a lei ed ella mi dice col suo fine sorriso arrendevole e timido: — Marina, mia cara, debbo farvi la preghiera di non lasciar cadere la vostra ammirabile facoltà. Rifiutatevi qui ma non alla Scienza. Non sappiamo quali orizzonti possa dischiudere al mondo. La scienza vi studierà, indagherà._ Dolly, Dolly, vi prego alla mia volta, non ne parliamo più.. — Ma perché, perché? Non vi capisco, vi assoderò a «The annals of psychal Science», quando avrete letto… Scusatemi, Dolly — non associatemi — non servirebbe a nulla! — Ma vi troverete esperimenti interessantissimi, studiati e presenziati dai vostri più illustri scienziati i professori Galeotti, Pansini, Cardarelli, Bottazzi e tanti altri. Avere letto le ultime sedute di Madama Paladino? Cose meravigliose ma non tanto quanto… Voi… m’intendete? Intendo, intendo, Dolly, appunto perché v’intendo_ vi ripeto mai più sedute spiritiche!

– Vi manderò tutti i libri del povero Henry, opuscoli, giornali, studi… e se venite a Londra vi farò assistere alle esperienze che si fanno al Club X…

Ella ha continuato a raccontarmi diversi casi di telepatia, e di altri fènomeni di lucidità, divinazione… appassionandosi ai misteriosi problemi che la scienza studia, ma senza riuscire ancora a trovare la spiegazione definitiva… Io tacevo, il mio pensiero era altrove e di spiritismo non me ne importava pili nulla. Roberto, con la Marchesa De Aris, ed il Contino Garlendi venivano verso di noi…

— Dolly, credo che… vengano a… cercarvi, — le ho detto, — indicandole il gruppo che s’avanzava lentamente chiacchierando e ridendo.

— Ah! Sí, vengono qui. Roberto con me non è molto tenero, però è amabile; spero conquistarmi completamente il suo cuore… col tempo, non è vero Marina?

Anche il dottor Steno veniva alla nostra volta. Sentiva forse che io aveva bisogno d’essere sorretta? Egli non sa di Roberto, eppure il suo intuito fine… chissà? Forse il mio segreto non è totalmente mio. Ho preso il braccio del dottor Steno.

La Marchesa De Aris è rimasta con Garlendi e Dolly si è avvicinata graziosamente a Roberto, che mi ha dato un’occhiata disperata! Ah se io avessi ancora per molto tempo innanzi agli occhi Roberto e Dolly sento che morirei! Domani Ella parte per Londra per i preparativi di nozze… e Roberto torna a Venezia… O Venezia, Venezia, Venezia! La mia anima esulcerata si volta ancora verso di te, anelante ed atterrita! Io non vedo i tuoi ori, i tuoi smalti, i tuoi mosaici, i tuoi marmi, i tuoi miracoli d’arte, le tue glorie, le tue fortune, i tuoi guerrieri, le tue magnificenze! Io vedo solo.., quelle acque oscure e rumoreggianti… Il Lido! Quella schiuma lieve, come i sospiri delle nostre anime innamorate, quella sabbia umida, ove affondavano i nostri piedi, quel cielo color di piombite che s’imbeveva delle onde inquiete… I nostri baci appassionati, i nostri abbracci veementi, su quella deserta plaga… Il vento, la pioggia… la corsa all’Albergo del Lido… e poi e poi… o Roberto, Roberto, l’amore, l’amore! Il tuo, il mio amore, il nostro amore, il nostro amore, il nostro amore! — Ah! ed il risveglio… tardivo quando io seppi, che tu, Roberto, tu eri un infame, un indegno e ti ho anche odiato e disprezzato! O mio Dio, mio Dio! Quale ridda di sentimenti opposti, quanti contrasti, quanti contorcimenti, quanti sbalzi, per ricadere ancora… vinta, vinta; anelante…

O Venezia, Venezia, ti guardo atterrita! — Un freddo di tomba mi corre tra le spalle, i miei occhi hanno una fissità spaventevole, i miei denti battono per febbre, nel mio cervello sento una pietra, il mio cuore ha moti convulsi e scomposti… Le mie braccia… il mio petto… stringono un cadavere! Henry! O povero Henry! — Henry caro, svegliati… Henry mio… Oh Henry non mi ascolta più! Henry è morto, io l’ho ucciso mentre egli mi offriva il suo nome, la sua vita, la sua casa… A me, tanto colpevole, a me tanto sciagurata, a me, la modella che… un uomo ha veduta, là tra le rose!!!

Tre mesi sono passati dalla posa della prima pietra. L’asilo è riuscito un ammirabile edificio. Ampie sale bianche, nitide, piene di luce serviranno per le scuole, un vasto refettorio, appartamentini per le maestre, i lettini bianchi per gli orfanelli nei dormitori e tutti gli altri locali necessari già pronti. Il kudsu del Giappone abbellisce la facciata, semplice e nobile; e nel recinto trasformato in giardino, ancora sorridono le grosse hidrangee rosee e cilestrine ed i kalds foltissimi, come ai miei tempi felici. La mia villetta l’ho lasciata oratorio come la trasformò la Contessa. Vi ho fatto portare molte piante sempre verdi, molti vasi con fiori freschi. Dalla porta lascio entrare aria e sole… I grandi quadri di san Francesco, del Redentore e della Vergine di Nazaret sembrano piú gai e sorridenti. L’impressione di tetraggine è cancellata; la mia mano sa dare una sfumatura di poesia ovunque passa. I piccoli altari candidi hanno le lampade sempre accese, lampade azzurrine dai tulipe frastagliati… I candidi merletti, i candelieri d’argento scintillanti e le tendine ai finestroni tutta mussolina e tulle con grandi fiocchi candidi. La piccola Chiesa, ora è graziosa, fatta per le dolci meditazioni, per allietare l’animo sconfortato, per sorridere a Dio… Ben volentieri mi inginocchio, estatica…

L’appartamento riservato a me è in un angolo dell’edificio da dove non vedo il Castello. Vedo solo la mia ex villetta cioè il mio oratorio, le torrette di Villa Quiete, e la collina che guida al villaggio del dottor Steno.

È venuto Padre D’Orelles, ha guardato ed esaminato ovunque, meravigliato di trovare tutto giudiziosamente preparato e ben contento che io tolga tanti miseri bambini dal vizio e dalla miseria.

In ogni sua parte l’asilo corrisponde ai bisogni occorrenti e mi riservo gradatamente di portarvi tanti miglioramenti.

Sono arrivati i duecento abitini per gli orfanelli, per i primi orf anelli. La guardaroba è colma di biancheria, le dispense piene di viveri di riserva… Mi sento stanchissima! Tutta la giornata a correre da un piano all’altro, da una camera all’altra, perché tutto sia nell’ordine dovuto ed abbia un’impronta piacevole… È giunto anche il mio abito di lana grigia, intonato con quello dei bambini. Lo guardo, disteso sul mio letto, colle ampie maniche penzolanti, il risvolto ampio di lana verde simile al bordo delle maniche e la cintura di pelle nera e d’acciaio…

Seduta al mio scrittoio ancora col mio teschietto d’avorio accanto, e con un altro in grandezza naturale sull’inginocchiatoio, guardo quell’abito grigio con dolce e triste sguardo. Nell’intimo sento una tenerezza infinita, un gaudio nuovo soavissimo che mi fa piangere… Non più di dolore! Seppellisco le mie follie, ho sotterrato le mie vanità di fanciulla; mi spoglio delle mie passioni, rinnovo me stessa, o mio caro abitino grigio entri a far parte della mia nuova vita e non mi lascerai più… mai più! Ed ora Dolly sta esaminando il suo ricco abito di raso bianco colle trine d’AlenQon, i fiori d’arancio, i gioielli, i doni…

Ecco qui il suo telegramma d’oggi: «Perché non venite anche voi? La vostra assenza turba la mia felicità».

O Dolly, il mio coraggio non arriva al punto di presenziare alle vostre nozze che io ho voluto che si facessero a Londra, anziché qui al Castello come voleva Roberto servendosi di mille pretesti per motivare il suo desiderio.

La vecchia Assunta tutta vestita in nero e con la bella cuffietta non si riconosce più! Ella è esultante e corre qua e là… instancabile, più resistente di me… ed io le sorrido affettuosamente mentre ella mi dice cogli occhi pieni di lagrime: Ah! Signorina, chi mai pensava quel giorno che salivo carica di legna, che oggi venivo qui… con Lei a far la signora?!… — O cara vecchierella, lo chiama far la signora! E ne avrà da lavorare con tutti quei piccoli che le correranno intorno come fosse la loro nonna…

Ore ro.— A quest’ora Roberto e Dolly sono innanzi al sacerdote; tutti piangono d’emozione… Oh! sento che Rob è straziato nell’animo. Il suo dolore si ripercuote nel mio! Ecco le ultime lagrime che non posso frenare! Poi le carrozze partono.., vanno dal sindaco… È finita, è finita la tortura! — Dalle mie finestre tra le tende, vedo uno sciame di fanciulli avanzarsi timidi e spauriti come passeretti spaventati, in cerca del cibo. Le maestre tentano metterli in colonna, di farli andare al passo come soldatini. La ghiaia risuona dei loro passi, eccoli entrano nel recinto — poi una carrozza a due cavalli — col Padre D’Orelles…

Nel grande salone a pian terreno è imbandita una refezione e tanti e tanti dolci, per quei poveri fanciulli che non ne ebbero forse mai… Ed eccoli a cinguettare fra loro, già sorridenti, già affiatati… Giunge un telegramma delle mie ex colleghe come affettuoso saluto… e tanti altri dei buoni amici lontani. Domenica sarà l’inaugurazione ufficiale e verranno… Sono tanto commossa e ancora bisogna che pianga ma di tenerezza.

Il Padre D’Orelles è molto intenerito: mi ha chiamata in disparte… non poteva neppure parlare, il suo sforzo per dominarsi era intenso, non voleva piangere ma tremava e non riusciva a padroneggiarsi.

— Marina, — mi ha detto, — l’apostolato di carità a cui ti accingi, mi riempie il cuore di affetto per te. Eccoti veramente Cristiana-Rosita D’Orelles. — Spero che la tua fibra non venga mai meno!… Al primo segno di debolezza chiama tuo zio; figlia mia, se questa debolezza venisse a turbarti…

Ah dov’era l’uomo freddo, chiuso, disseccato nella carne e nel cuore e che io motteggiavo…!?

Mi sono inginocchiata ed egli mi ha rialzata…

– Zio!…

— Alzati, il tuo cuore è nobile e generoso, io ti assolvo in nome di Dio!

– Oh zio, come sono felice! — Ma… di chi sarà quell’equipaggio che si ferma al cancello? Oggi non vorrei, non potrei ricevere nessuno!

Scendevano due signore abbrunate ed un signore molto vecchio, dall’aspetto venerando.

Il Padre D’Orelles ha guardato e mi ha detto sorridendo lievemente:

– Sono ricchi americani e parenti di Don James d’Olivairez che tu conosci. Ho permesso a loro di venire a vedere… l’asilo.., prima dell’inaugurazione. Puoi ritirarti. Farò io gli onori di casa. Basterà che tu riceva.., un momento madama…

Si è avviato in fretta per accoglierli, senza finire la frase…

Mi giungevano distinte le voci delle maestre, delle cameriere, dell’Assunta ed il vocio confuso degli orfanelli. Il sole d’autunno mandava ancora il suo dolce tepore, a tutte le piante ancora fiorite. Il mio stagno s’increspava come scosso da brividi amorosi, pareva mormorasse qualche cosa di bello, di misterioso, di lieto e tutte le pianticelle attorno gli rispondevano con altrettanta beatitudine e mistero…

— Marina…, questa nobile… signora vuole… esprimervi il suo compiacimento per l’opera vostra; e vi chiede il modello per erigere un simile… asilo.., nella sua città. Vorrebbe abbracciarvi… se lo permettete… sì. dicendo la voce di Padre D’Orelles s’era indebolita; tremava… Ho guardato la signora. — Ella piangeva e mi guardava: pareva impietrita. Ecco, ho pensato, una donna che deve aver amato e sofferto e si commuove tanto, con facilità, come me… Ella continuava a guardarmi ed io a guardare lei. Il suo era un viso ancora giovine ma con l’espressione di profonda tristezza e stanchezza… Io non sapevo che dire! Abbattuta da tante diverse emozioni rimanevo ferma… avvolta da quei grand’occhi piangenti. Immobili innanzi a quella sconosciuta senza dirle neppure una parola cortese d’urbanità… e… di benvenuto. Il Padre D’Orelles pure taceva; poi ha mormorato: Thalatta, Thalatta! La signora mi ha abbracciata strettamente ed io ho ricambiato, inconsciamente, come in un sogno. Ella è partita sempre guardandomi… finché ha potuto. Perché Thalatta? Perché il grido di tempesta? Tutti i piccoli sono già vestiti dell’abitino grigio filettato di verde e corrono per il giardino giuocando tra loro; hanno il visetto ilare, poveri passeretti, non pii affamati!… Oggi è dedicato alla allegria! Divertitevi dunque…

– L’equipaggio degli americani è partito; ritorna a me il Padre D’Orelles. É pallido, pallido.., il viso allungato… — Zio perché avete detto Thalatta? — gli ho chiesto subito. — Non cercarlo, Marina; piuttosto devo dirti… Egli respira affannosamente, le sue labbra sono bianche…
– Parlate; che dovete dirmi? Cose dolorose? Siete agitato Zio… Dolorose.., veramente no…; ma temo… che…
— Mi spaventate, mi spaventate! Dite subito… Devo.., darti… un’emozione… nuova…

Ah ne ho già provate tante…! Mi sono seduta in una poltroncina bassa, mentre mio zio immobile nella sua veste nera, guardava traverso le tende la Croce dell’oratorio.., cioè mi pareva guardasse là. Un po’ di vento traeva dalle conifere il loro odore balsamico, che giungeva fino a noi. Un raggio di sole ha illuminato la mia testa bionda… Zio… dunque?! — Io temevo qualche pazzia di Roberto. — Figliuola mia… I signori che hanno visitato l’asilo… non sono… americani… Ah! no? Perché avete detto che lo erano? Perché non… mi credevo… autorizzato… Un’improvvisa luce ha illuminato la mia mente come il raggio di sole illuminava la mia testa. Sono balzata in piedi… avvicinandomi al Padre D’Orelles… smarrita, gli occhi dilatati. Autorizzato?! Continuate, Zio! — Era andante… Autorizzato.., a dirti… che quella signora… era… — Era mia madre, era mia madre! — Gli ho gridato con impeto e schianto completando la sua dichiarazione…

Colla testa appoggiata alla spalla del Padre D’Orelles gli mormoro appassionatamente: – La ·vedrò più, mai più, mai più? ! ! Dite, Zio: Mai più? ! !

E mentre piangiamo entrambi … ecco dalla finestra una vera pioggia di fiori viene a colpirci … – È un richiamo gentile e timido. Delle maestre? Forse; non osano a chia­marci apertamente … – Cristiana-Rosita … andiamo? Ci ·attendono! … Si, Zio … andiamo!

Appoggiata al suo braccio, tremante, discendo il largo scalone…

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